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Intermezzo, Cap. VII
Nicholas accese il fornello e appoggiò la macchinetta del
caffè sulla griglia di ghisa, poi si voltò verso Ike, seduta al tavolo, con i
capelli che le coprivano metà viso e gli occhi arrossati dal pianto.
«Dovresti chiamare Mc Hauley, non credi?» le disse.
«No, non credo.» rispose secca Ike, senza nemmeno guardarlo.
«Ike, ascoltami.» Nicholas le bloccò il viso tra le mani per
costringerla a guardarlo «non può andare
avanti così. Prima o poi ti trova, tanto vale farti viva tu, no?»
Ike si divincolò dalla presa.
«Ho giurato a mia sorella che non lo avrei più guardato in
faccia.»
«Continui ad addossare a quell’uomo colpe che non ha.»
«Mia sorella sarebbe ancora viva se non fosse per lui. E mia
madre anche.»
«Non è andata così. lo sai bene.»
«Che cazzo ne sai tu della mia vita, eh? C’eri tu quando io
avevo bisogno di una famiglia e la mia famiglia era spezzata in due? C’eri
quando ho viaggiato per ospedali psichiatrici, rinchiusa in stanze ovattate,
con indosso soltanto una lurida tela bianca, incatenata a un letto perché
qualcuno sosteneva che potevo farmi del male? C’eri quando mia sorella mi
tormentava di notte, con la sua voce angosciata, e mi carezzava con le sue mani
di angelo che ha lasciato troppo presto questa terra? Di chi è la colpa, secondo
te? Mia? O di mia madre, che non ha retto a vedermi così?»
«Cosa poteva fare tuo padre, eh, Ike? Tenerti in casa, accudirti
giorno e notte senza mai un attimo di riposo?»
«Già, si è ripulito la coscienza con lenzuola d’ospedale e
ha placato il suo senso di colpa mandandomi in un manicomio per cancellarmi
dalla sua vita. E ora dovrei accoglierlo a braccia aperte soltanto perché mi
sta cercando?»
«E’ tuo padre, Ike. In fondo è solo un uomo. Se anche ha
sbagliato, ora è solo un vecchio. E se è vero che le colpe sono solo sue, i
rimorsi gli avranno già scavato dentro l’anima un vuoto che nessuno potrà
riempirgli. Dagli una possibilità.»
«No, Nicky, mi spiace. Lui è fuori dalla mia vita.»
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