Archivio Blog

Cerca nel blog

19 ott 2014

Il cardellino di Donna Tartt

Il cuore non si sceglie. Non possiamo obbligarci a desiderare ciò che è bene per noi o per gli altri. Non siamo noi a determinare il tipo di persone che siamo. Come fai a sapere cosa è giusto per te? Ogni psicologo, ogni consulente del lavoro, ogni principessa Disney conosce la risposta: “Su te stesso”. “Segui il tuo cuore”. Ma ecco ciò che vorrei davvero che qualcuno mi spiegasse. Cosa succede se ti ritrovi con un cuore inaffidabile?
Se il tuo io più profondo ti conduce cantando dritto verso il fuoco, devi voltargli le spalle? Tapparti le orecchie con la cera? Ignorare il perverso splendore che il cuore ti grida contro? Metterti sulla strada che porterà alla normalità, orari ragionevoli e regolari controlli medici, relazioni stabili e promozioni sicure, il New York Times e il brunch della domenica, il tutto con la promessa di diventare una persona migliore? O è meglio tuffarsi di testa e con una risata nel sacro fuoco che chiama il tuo nome?
Non si tratta di apparenze esteriori, ma del significato interiore. Una grandezza che è nel mondo, ma non del mondo, una grandezza che il mondo non capisce. Quella prima, fugace visione di qualcosa di altro, in presenza del quale continui a sbocciare.
Un io che non vorresti avere. Un cuore tuo malgrado.
Non possiamo scegliere cosa vogliamo e cosa non vogliamo e questa è la verità nuda e cruda. Non possiamo scappare da ciò che siamo.
 
Il cardellino
di Carel Fabritius
I grandi quadri – la gente accorre per vederli, attirano le folle, sono riprodotti all’infinito sulle tazze e sui tappetini dei mouse, su qualunque cosa.  E questo riguarda anche me, puoi passare una vita intera a visitare musei con grande piacere, un bel giretto, e poi via, a pranzo da qualche parte. Ma se un quadro ti affonda davvero nel cuore e cambia il tuo modo di vedere, e di pensare, e di provare emozioni, non pensi, “oh, amo questo quadro perché è universale”, “amo questo quadro perché parla a tutto il genere umano”. Non è questa la ragione per cui ci si innamora di un’opera d’arte. E’ un sospiro segreto in un vicolo. Pss, tu. Ehi ragazzino. Sì, proprio tu. Un intimo colpo al cuore. Il suo sogno, il sogno di Vermeer. Tu vedi un quadro, io ne vedo un altro, il libro d’arte lo colloca in un altro modo ancora, la signora che compra la cartolina al negozio di souvenir del museo vede qualcosa di completamente diverso, per non parlare della gente d’altri tempi – quattrocento anni fa, quattrocento anni nel futuro-, non colpirà mai nessuno alla stesso modo, e la maggior parte delle persone non ne verrà affatto toccata in maniera profonda, ma – un quadro veramente grande è abbastanza fluido da farsi strada nella mente e  nel cuore da ogni possibile angolazione, in modi unici e molto particolari. Sono tuo, tuo. Sono stato dipinto per te.

 
C’è solo il minuscolo battito di un cuore e la solitudine, un muro assolato e il senso di una fuga impossibile. Un tempo che non si muove, un tempo che non può essere chiamato tale. E’ intrappolato nel cuore della luce: il piccolo prigioniero, saldo.
E’ il luogo in cui la realtà va a cozzare con l’ideale, in cui uno scherzo diventa serio e tutto ciò che è serio diventa uno scherzo. Il punto magico in cui ogni idea e il suo opposto sono ugualmente veri.
Tra la “realtà” da un lato, e il punto in cui la mente va a sbattere contro la realtà, esiste uno spazio sottile, uno spicchio d’arcobaleno in cui origina la bellezza, il punto in cui due superfici molto diverse tra loro si mescolano e si confondono per procurare ciò che la vita non ci dà: e questo è lo spazio in cui tutta l’arte prende forma, e tutta la magia. Ed è per questo che ho scelto di scrivere queste pagine, così come le ho scritte. Perché solo entrando nello spazio intermedio, nel confine policromo tra verità e non-verità, essere qui a scrivere tutto ciò diventa tollerabile.
Qualunque cosa ci insegni a parlare con noi stessi è importante: qualunque cosa ci insegni a cullarci fino a uscire dalla disperazione. Ma il quadro mi ha insegnato che possiamo comunicare l’un l’altro a distanza di secoli.
 
 
Le ultime ventidue pagine riscattano la lettura delle altre circa novecento pagine. Quello che penso è che per arrivare a queste due verità, su se stessi e sull’arte, erano tutte necessarie, altrimenti due concetti pur semplici, sarebbero stati compresi – forse – ma non sarebbero arrivati così nel profondo del cuore. Domande che si rincorrono in quelle pagine una dietro l’altra, senza imporre una risposta, senza suggerirne alcuna, lasciando che ogni lettore trattenga ciò che più è vicino a lui, perché anche i libri, come i quadri, parlano a ciascuno di noi in modo diverso.
Per evidenti ragioni non posso trascriverle qui tutte e ventidue, e in più non avrebbero la stessa potenza che hanno alla fine di una storia che a tratti sconvolge, a tratti inorridisce, a tratti intenerisce, a tratti fa rabbia.
Se avete abbastanza coraggio, leggete questo libro.
Per me, ne è valsa la pena.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Siamo così abituati a mascherarci di fronte agli altri
Che finiamo per farlo anche di fronte a noi stessi
François de la Rochefoucauld
 
Il vincolo che fa di noi dei padri e dei figli risiede nei cuori,
e non nella carne e nel sangue
Schiller
 
Noi abbiamo l’arte per non morire a causa della verità
Nietzsche
 
A volte, per capire il mondo nel suo insieme, puoi solo focalizzarti su un minuscolo frammento, concentrandoti su quello che hai a portata di mano per ricavarne il paradigma di ogni cosa.
Chi è che ha detto che le coincidenze sono solo il modo che Dio ha scelto per restare anonimo? E se i giocatori d’azzardo avessero capito meglio di chiunque altro? Tutto ciò che ha davvero valore rappresenta una scommessa. E le cose buone non entrano spesso dalla porta sul retro.
Com’è possibile che, pur rendendomi conto che tutto quel che amo o che m’interessa è un’illusione, io continui a sentire che tutto ciò per cui vale la pena vivere risiede proprio in quell’illusione?
Sono i nostri segreti a definirci e non il volto che mostriamo al mondo.
 

2 commenti:

  1. "Le ultime ventidue pagine riscattano la lettura delle altre circa novecento pagine".

    Ma per favore, le "altre 900" pagine sono perfettamente funzionali al finale.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. È quanto c’è scritto appena dopo le due righe citate. “ Quello che penso è che per arrivare a queste due verità, su se stessi e sull’arte, erano tutte necessarie, altrimenti due concetti pur semplici, sarebbero stati compresi – forse – ma non sarebbero arrivati così nel profondo del cuore”. Forse si è fermato troppo presto a leggere…

      Elimina