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12 lug 2017

Mi sa che fuori è primavera, di Concita De Gregorio

“ Ho steso i miei sogni sotto i tuoi piedi;
Cammina leggera perché cammini sui miei sogni.”
William B. Yeats





Irina Lucidi è un avvocato italiano, vive in Svizzera, ha quasi 50 anni e dall’agosto 2011 si occupa di Missing Children Switzerland, una fondazione da lei creata che offre “sostegno a livello psicologico, sociale e giuridico alle famiglie e ai congiunti vittime di una scomparsa di minore”. Lucidi ha creato la fondazione dopo la scomparsa delle sue due figlie che allora avevano sei anni, sorelle gemelle, nel 2011. Il padre Mathias Schepp – da cui Lucidi si era separata – le andò a prendere a casa di amici il 28 gennaio 2011: subito dopo andò e tornò dalla Corsica in traghetto, e il 3 febbraio si suicidò a Cerignola, in Puglia, facendosi investire da un treno. Delle bambine non si è mai più saputo niente.
La cronaca è questa. Di seguito i passi del libro.

"Cosa sei venuta a dirmi, Irina? Perché hai bussato qui? “Vorrei che mi aiutassi, se puoi, a prendere le parole metterle in fila ricomporre tutti i pezzi che sento frantumati e dispersi in ogni angolo del corpo. Vorrei ricostruire i frammenti come si ripara un oggetto rotto, prenderlo in mano e portarlo fuori da me. Per tenerlo accanto, portarlo in tasca, metterlo in borsa ma intero, tutto intero. Pensi che si possa farlo, scrivendo? Se fossi stata capace l’avrei fatto, ma non sono capace e non ero pronta. Ora sono pronta. Voglio mettere un punto. Segnare il passaggio. Sento che sarà facile, se riesco a raccontare ogni cosa.” Quindi di cosa è fatto questo racconto?, e perché ci incatena a vicenda nei giorni senza che riusciamo a smettere senza che ci fermiamo più, giorni e giorni di parole e di risate e di lacrime e di voce che si rompe e poi di canzoni, hai mai sentito quella che fa così?, poi di nuovo l’amore: tu, Irina, parli sempre d’amore."

"il dolore da solo non uccide e io sono viva. Dunque devo vivere, perché finché ci sono ci sarà il ricordo di chi non è più con noi. Vivo, il ricordo: vive loro nei pensieri. Dimenticare, nonna. Tu che hai camminato per un secolo lo sai che niente si dimentica ma tutto, a momenti, si deve poter prendere e mettere in un posto. Tenerlo in mano e metterlo in tasca, spostarlo sul comodino come fosse un fiore in un vaso, uscire, poi rientrare e ritrovarlo lì. Come potremmo vivere senza placare la memoria, che non vuol dire arrendersi, o dimenticare, ma lasciare che il caldo si raffreddi, che il bagnato si asciughi, che ogni cosa si trasformi e nasca un inizio da ogni fine. Che la fame si sazi per tornare a essere fame. Che il desiderio si estingua per rinascere. Che il sonno dia pace alla stanchezza per avere sonno di nuovo. Ogni minuto della vita gira attorno a qualcosa che non c’è più perché qualcos’altro possa accadere." 

"Non ha mai alzato le mani. Era un altro tipo di violenza. Ho cominciato ad aver paura dei suoi silenzi. Delle sue piccole manie silenziose. Del modo in apparenza indulgente con cui demoliva e rifaceva da capo ogni cosa che avessi fatto io. Metteva dappertutto dei post-it gialli: istruzioni. Sul frigo, sugli armadi, dentro i cassetti. Decine sullo specchio del bagno. Le istruzioni – ordini – erano per me."

"Non è vero che l’oblio non esiste. La testa seleziona, fa archivio continuamente e molto scarta. Fa spazio, compatta. Magari non elimina del tutto ma comprime in un formato illeggibile. Anche se ti sforzi non trovi la chiave, non lo puoi decifrare più." 

"È facile affacciarsi nelle vite degli altri, decretare in un quarto d’ora una colpa, rientrare dentro casa e sentirsi al sicuro nel giusto, poi riprendere sonno." 

"Parole tranello. Capriccio. Colpa. Regola. Pericolo. Non giocare con queste parole. Quando sembra che gli altri conoscano le regole del gioco e tu no. Quando vogliono farti pensare che sei inadeguata, e alla fine davvero lo pensi. Quando vogliono farti dire che sei stata una bambina viziata, che hai giocato col fuoco. Che la colpa è tua. La colpa. È tua. Che non sei stata prudente, non hai visto il pericolo. Egoista, cieca. Bisognava sopportare. Non giocare con queste parole. Non toccarle. Sono trappole mortali."

"Non avevo mai messo la testa sott’acqua. Non così, intendo: a fondo, in immersione. Però lì nel villaggio c’era un cartello e il cartello offriva una guida. Sei mai stata sott’acqua? Io pensavo fosse buio ma non è mai buio. I pesci nuotano per famiglie, organizzati per colore, per razza. Il fondo è come un paesaggio montano, una geografia segreta. Riesco a dire solo il senso di pace. Come se la natura fosse molto più giusta. C’è silenzio. Stai sospeso: come se volassi, ma sostenuto dall’acqua. Ti alzi e scendi col respiro. L’aria si espande, e sali. Un po’ di vertigine, a volte. Nel silenzio, a tratti una specie di musica, una melodia soffocata e remota. Blu, colori. Nessun confine. Il plancton, di notte. Quando ti muovi tutto brilla. Un’armonia immensa, perfetta. Una grande libertà. Sei inerme, indifesa. Non sei nulla, eppure finalmente ti senti. Te stessa, tutta intera, leggera e densa. Le vicende umane sembrano all’improvviso tutte contenute in un altro disegno. Coerente, misterioso."

"È il tempo la nostra prigione. Il troppo presto, il troppo tardi, il troppo breve e troppo poco."

"L’assenza è una presenza costante: ti sfida in un corpo a corpo quotidiano, ti assedia. Ti vuole nella lotta, misura il tuo respiro. La nostalgia è fisica, poi. È proprio impossibile colmare la mancanza di un corpo vivo: quell’odore, quella morbidezza della pelle, quella voce quando ti chiama. Quel tipo di resistenza docile all’abbraccio, quel modo di piegare il collo. Non c’è niente, nessuno che possa sostituire l’assenza di qualcuno. Solo il sogno."

"solo l’amore per un figlio è amore, quello vero. E credo che solo quell’amore lì, l’amore per i figli, abbia un suono. Quando li guardi e ti guardano – in certi momenti di silenzio – riesci a sentirlo. Una specie di onda remota, magnetica. Come se un arco invisibile suonasse la corda di una viola che non c’è."

"Dell’assenza non ti puoi mai liberare. Della presenza sì, ti dimentichi a momenti. Sei in un’altra stanza, sei concentrato su un lavoro, sei preso altrove, non ci pensi: sai che la presenza se ne va ma torna, può tornare con un gesto, è facile. Dell’assenza non ti dimentichi mai. Non ti permette distrazione,"

"Ecco, sai cosa sarebbe bellissimo? Che le persone con cui parli di te avessero la capacità di fare silenzio, di stare in ascolto, di non sentirsi in obbligo di commentare con frasi precotte e atterrite. Di accogliere, dare un posto a quel che stai dicendo."


"28.
Livia, Alessia No. Non ho nessuna foto con me. No, non ne ho una nel portafogli. Non ho nessun bisogno di vederle ritratte immobili in un istante del passato. Le vedo vive nel presente, non devo neppure chiudere gli occhi. Le vedo e le sento. Nessuna foto assomiglia a una persona viva. Nelle foto si sta fermi. Nella realtà, anche da fermi, si respira. Le foto non respirano. No. Più che difficile, o impossibile, mi sembra inutile provare a descriverle. Direi aggettivi pieni di senso per me e vuoti per chiunque altro. Cosa significa per te “Livia è più introversa, Alessia più morbida”? Categorie, scatole. Per me invece ogni parola è una catena di gesti, movimenti del corpo, episodi minimi, sguardi. Livia è più forte, indipendente. Alessia è più timida, sensibile. Vedi, non vuol dire niente. Semmai vorrei essere capace di spiegare la sensazione fisica che provavo ogni volta che le prendevo in braccio. In quella specie di slancio e di abbandono che ha il corpo di un bambino quando si lascia sollevare: Livia restava sempre intera, integra. Con una rigidità verticale interna, non saprei come dire. Era sempre lei. Alessia invece te la spalmavi addosso, diventava un calco del mio corpo. Diventava me. Avevano consistenze diverse. Si poteva sapere da quel modo di lasciarsi abbracciare che persone sarebbero diventate. No. Non c’è un’immagine che torna nei ricordi. Tutti. Tutti i ricordi sono qui: non è che ritornino, non sono mai andati via. Non si sono mai mossi dall’istante in cui sono arrivati al mondo. Si muovono, certo. A volte ti sorprendono per il momento in cui si manifestano. Non te li aspetti, intendo dire. L’altra sera mentre chiudevo a chiave la porta di casa è arrivato quello di quel pomeriggio al lago. Avranno avuto tre anni, eravamo in bicicletta e Alessia non riusciva a far camminare la sua. Io stavo lì davanti alla ruota già da un po’, in ginocchio. Toccavo i freni, i cavi. Cercavo il guasto. Mi è venuta accanto Livia, minuscola, in piedi era alta quanto me accovacciata. Ha detto: mamma la bicicletta di Alessia non funziona perché il suo manubrio è al contrario. Così, tutto d’un fiato. Mentre chiudevo a chiave la porta di casa, l’altra sera.”



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