«E tutto si era
svolto in quella trama di strade squadrate e regolari nelle quali, in certi
pomeriggi deserti d’estate, quando c’era il maestrale, e l’aria era nitida,
ogni angolo sembrava il punto di fuga verso un infinito pieno di promesse.»
Tutto accade in
una notte. Tre amici si incontrano per caso dopo oltre vent'anni dai tempi
della loro giovinezza e, appunto, della loro amicizia. L'incontro, che sulle
prime sembra una banale rimpatriata, si trasforma ben presto in una drammatica
resa di antichi conti. Lo scenario è una Bari sempre in bilico fra presente e
passato. Fra il non più e il non ancora. È un libro drammatico, ma chi lo ha
letto mi dice (e la cosa mi fa un enorme piacere) che ci sono dei passaggi in
cui si ride molto. Far ridere è una cosa che amo particolarmente.
Gianrico Carofiglio, dalla
recensione di Salvo Fallica su: L'Unità (06/11/2008)
E’ difficile credere che un piccolo libro di centosessanta
pagine possa ricacciarti indietro di trent’anni con una tale prepotenza da spingerti
a desiderare di afferrare il primo volo verso quella che senti ancora nel
profondo essere “la tua città”, per verificare se ogni angolo di quelle vie “squadrate
e regolari” del centro murattiano o il groviglio di vicoli della città a forma d’aquila, nella quale Babbo Natale si riposa durante l’anno,
combacia ancora perfettamente con gli angoli dei tuoi ricordi.
Attraverso una storia che sembra davvero banale in rapporto
al passato che evoca, emergono uno dopo l’altro i nomi e le storie che pensavo
di aver dimenticato, ma che illuminati da una sapiente guida, trovano ora il
giusto posto tra le immagini confuse e le foto sfocate di un’adolescenza che
ancora non vuole mettersi a riposo. E si rincorrono uno dopo l’altro: i cinema
(Gran Cinema Oriente, Gran Cinema Margherita, Cinema Orfeo, Cinema Jolly) i
circoli privati (la Vela, Unione, Barion), le discoteche (Rainbow, Snoopy,
Merendero, Cellar, Privé), i locali (La Taverna del Maltese, il Pellicano), i
negozi (Panificio Veneto, “la” Saicaf), i quartieri (Murat, Libertà, Carrassi,
Città vecchia), le vie (Sparàno, Dante, Principe Amedeo, Corso Vittorio
Emanuele, Andrea da Bari, Roberto da
Bari, via Sagarriga Visconti, via Brigata Bari, Corso Cavour), lo stadio della
Vittoria e il disco volante di Renzo Piano, le spiagge e gli stabilimenti (San
Francesco, il Trampolino, il Canalone, la Pineta con la pista di pattinaggio), i
film trasmessi dalla Rai solo a Bari alle 10 di mattina nel periodo della Fiera
del Levante, gli scandali (Punta Perotti), lo sbarco dei quindicimila “(avete
letto bene: quindicimila, tutti su
una sola nave)” albanesi del 1991, l’incendio del Petruzzelli.
Più di tutto, la totale sensazione di sconfitta nel ricordo
di qualcosa che si è perduto per sempre:
“Ti manca il colore del cielo, eh?” disse
Giampiero con un tono pieno d’orgoglio, come se l’avesse dipinto lui, quell’azzurro. In quel momento, nell’oscurità, mi sembrava di rivedere quel cielo – e quell’azzurro dilagante – con gli occhi pieni di meraviglia di chi ritorna da un lungo viaggio in un paese lontano. Lo rivedevo con gli occhi di Paolo, attraverso i suoi ricordi.
“Mi
manca? Non me lo sono mai chiesto”. Sembrava che la domanda lo avesse colpito e
fece una lunga pausa. “Però se devo rispondere, se mi ci fai pensare, sì, mi
manca. Mi manca la luce di certe giornate spazzate dal maestrale. E mi manca
quell’azzurro”. Fece un’altra pausa, breve, come per elaborare un’intuizione
inattesa. “Magari adesso sto per dire una stronzata pazzesca – una cosa da
emigrato – ma mi sembra di non aver mai visto da nessuna parte del mondo un
azzurro perfetto come quello. Mi viene da dire che è l’idea platonica dell’azzurro.”
“E
cos’altro ti manca?” chiesi allora.
“Cos’è
una seduta di autocoscienza?” Ma si vedeva che si era messo in moto qualcosa,
nella sua testa,, e che aveva voglia di rispondere. Non a me, probabilmente, ma
a se stesso. Ci pensò per un poco.
“Lo
dico come mi viene. Mi manca anche il colore del mare, in quei giorni di
maestrale. Quando ci sono le onde ma l’acqua è lo stesso trasparente come un
cristallo, ed è contemporaneamente blu, e verde, e del colore della sabbia che c’è sotto. Mi
manca l’odore di quel mare.”
Socchiuse
gli occhi e fece una breve pausa.
“E sapete cosa
mi manca più di tutto, a pensarci? Mi manca il profumo della focaccia. Se
dovessi dire una cosa sola, direi: l’odore della focaccia. Davvero l’olfatto è
il senso della memoria. Io ho l’impressione che, se sentissi di nuovo quell’odore
– dubito che capiterà – potrei ricordare cose che sono seppellite nella memoria
e che probabilmente sono perdute per sempre”
Non so
quanto questo libro sappia parlare a chi non ha negli occhi il colore di quel
cielo e di quel mare e non ha nelle narici il profumo della focaccia (e delle “sgagliozze”),
ma a me ha rimestato emozioni che credevo sopite, se non perdute. Ho tremato
leggendo alcuni nomi, associando i ricordi e ho avuto voglia, improvvisamente,
di rivederli. Non so, però, se avrò mai il coraggio di andare alla riscoperta
di quei posti che nella mia memoria hanno un posto speciale e sono ricoperti di
uno spesso strato dorato, e vedere che magari son cambiati per sempre.
E il
tempo è passato davvero, se solo con Google Maps riesco a tornare in via De
Giosa 48 e ad avere un tuffo al cuore nel pensare cosa c’era vicino a quel
citofono che avrò suonato mille volte, con mille emozioni che mi spingevano
dentro ogni volta... Sembra il gioco del “Trova le differenze” della Settimana
Enigmistica. Mio Dio, mi dico, come potrei tornare, adesso?
Chi lo sa
quanto i nostri ricordi dipendono dal ricordo e quanto invece dalla fantasia e
dal nostro bisogno di confrontarci. Con le bugie, con le illusioni, con le
storie.
Le sgagliozze
Paolo ruppe
il silenzio.
“Ci stanno
ancora quelli che friggono le sgagliozze?”
Mi fece un
effetto strano sentirgli pronunciare quelle parole antiche.
Le sgagliozze sono
sottili fette di polenta, fritte in olio di freni per tir (o in qualcosa che
gli assomiglia molto) e vendute a Bari Vecchia, per strada. Tipico e buonissimo
cibo da strada barese. Salutare come il crack.
Quando spiego
cosa sono le sgagliozze, l’immediata (e del tutto legittima) domanda è sempre:
cosa c’entra la polenta con Bari? Voglio dire: ti aspetteresti che la polenta
fritta sia il tipico street food di Ponte di Legno o Pergine Valsugana. A Bari,
attenendoci a categorie un po’ ovvie, per strada, nei cartocci di carta da
panificio, dovrebbero vendere le cozze fritte.
Sta di fatto
però che nella città vecchia da sempre ci sono questi personaggi pittoreschi
che friggono fettine di polenta e le vendono, alla faccia dell’ente nazionale
per la protezione del fegato. “Ci stanno
ancora” risposi “sotto la Muraglia vicino a San Nicola e a Piazza Mercantile,
stanno” “Le
sgagliozze. Assurdo. Non dicevo questa parola da venticinque anni e adesso che
l’ho pronunciata mi sta facendo venire in mente tante cose che mi ero
dimenticato. A cominciare dall’odore tremendo che veniva da quell’olio. C’era
una vecchia che vendeva le più buone di tutte”.
La focaccia
La focaccia barese si prepara mescolando farina di grano
tenero, sale, lievito e acqua. Ne deriva un impasto piuttosto liquido che si
versa in una teglia rotonda, si condisce con olio, pomodori freschi, olive e
poi si cuoce nel forno a legna. Proprio perchè l’impasto è liquido, i pezzi di
pomodoro e le olive sprofondano nella pasta, creando e riempiendo dei piccoli
crateri morbidi che diventano le parti più buone della focaccia.
Si mangia
calda ma non bollente, avvolta in un pezzo di carta da panificio, uscendo da
scuola, al mare, per cena o anche per pranzo (o merenda o anche colazione, ma
questa è roba da esperti): veloce, economico e deliziosamente unto.
San Nicola
Paolo Rumiz ha scritto che tutti in Russia, sanno
riconoscere perfettamente su una carta geografica dov’è Bari, appunto per via
di san Nicola.
La storia è singolare. Le ossa del santo furono rubate a
Mira (oggi Demire) in Turchia nel 1087 da un equipaggio di marinai baresi che
le portarono nella loro città, fino alla sprovvista di un santo patrono. Fu
così che Nicola diventò coattivamente il protettore di Bari. Ogni richiesta di
restituzione incontrò un cortese ma fermo diniego. L’argomento, non privo di
originalità, era che san Nicola aveva scelto Bari come sua città. Se fosse
stato contrario all’idea, avrebbe impedito il furto delle sue ossa o scatenato
una tempesta per impedire la fuga dei marinai baresi.
Non essendosi verificato
nessuno di questi eventi, l’unica interpretazione possibile era che san Nicola
volesse rimanere a Bari. E se questo discorso non vi convince, peggio per voi.
[...] Nei secoli successivi alla traslazione (adoro questo
eufemismo) delle ossa da Mira a Bari, il culto di Nicola, che secondo la
leggenda e la devozione era un santo dispensatore di doni, si diffuse in tutta
Europa e fu poi esportato dagli olandesi a Nuova Amsterdam (detta poi New
York), dove l’ex vescovo di Mira, che da quelle parti chiamano Santa Klaus,
diventò addirittura Babbo Natale.
[...] “Scusa, ma se Babbo Natale è san Nicola perchè non lo
dice nessuno? Io non l’ho letto su nessun giornalino, su nessun libro. Nemmeno
la maestra ce lo ha mai detto. Se fosse vero dovrebbero dirlo. “ “Non lo dice
nessuno perchè è un segreto. Lo sappiamo in pochi. Babbo Natale vuole essere
lasciato in pace quando torna a casa sua – a Bari – per riposarsi”. [...] Ero
contento e basta, come succede solo ai bambini. Avevo scoperto di abitare in un
luogo straordinario, un luogo unico al mondo: il paese segreto di Babbo Natale.
Era una cosa incredibile, era la magia che irrompeva all’improvviso nella mia
vita. Ed era una cosa mia, soltanto mia. “Ma allora, se è un segreto io non
posso dirlo a nessuno?” Ho la faccia di mia madre stampata nella memoria mentre
indugia qualche secondo appena prima di rispondere. Mentre mi accarezza la
fronte, spostando con due dita i capelli che mi ricadevano sugli occhi. La sua
faccia sullo sfondo buio di tanti ricordi indistinti, o perduti per sempre. “Potrai
dirlo solo ai tuoi bambini, quando sarai grande. Solo a loro”
Il porto
Il porto è un universo a parte. Se ti capita di girarci di
notte, non riesci a capire come possa essere così sterminato, come sia
possibile che un posto così grande sia contenuto nella città, quando – ti sembra
– potrebbe essere il contrario. Che la città sia contenuta, tutta, in quel
vasto territorio sconosciuto, con squarci che assomigliano al palcoscenico di
un sogno inquietante, dove sembra che valgano regole diverse da quelle del
mondo esterno.
L’aquila
“Vi siete
accorti che Bari ha la forma di un’aquila?”
“Un’aquila?”
fece Giampiero.
“Un’aquila.
Guardate una cartina e ve ne accorgerete. La penisola di Bari Vecchia è la
testa, e ai due lati ci sono le ali spiegate. Se ci si concentra sulla testa
poi si coglie tutto l’insieme.”
Il tempo
Paolo tirò
fuori dalla tasca il libro che gli avevo dato poco prima. Lo aprì e lesse le
prime parole, o forse le prime righe.
“Ehi, non
sembra male. Fa venire voglia di andare avanti.”
“Magari ti
aiuta a far passare il tempo del viaggio.”
“Far passare
il tempo...”
“Frase idiota, hai ragione. Ci pensa da solo il tempo a passare. Non ha nessun bisogno di aiuto.”
Lungomare |
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Il Teatro Petruzzelli |
Il "disco volante", lo stadio di Renzo Piano |
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