« Ma
una donna ha continui impedimenti. A un tempo inerte e cedevole, ha contro di
sé le debolezze della carne e la sottomissione alle leggi. La sua volontà,
come il velo del suo cappello tenuto da un cordoncino, palpita a tutti i
venti, c’è sempre un desiderio che trascina, e una convenienza che
trattiene. »
|
(da
Wikipedia)
Madame Bovary (a volte tradotto in italiano con il
titolo La signora Bovary) è il primo romanzo di Gustave Flaubert. Appena
pubblicato, fu messo sotto inchiesta per "oltraggio alla morale".
Dopo l'assoluzione[1], il 7 febbraio 1857, divenne un bestseller sotto forma di
libro nell'apriledel medesimo anno, e oggi è considerato uno dei primi esempi
di romanzo realista. Una delle prime edizioni fu illustrata dal pittore Charles
Léandre.
È imperniato sulla figura della moglie di un ufficiale
sanitario, la signora Emma Bovary, che si dà all'adulterio e vive al di sopra
dei suoi mezzi per sfuggire alla noia ed alla vacuità della vita di provincia.
L'opera attinge alla vera arte nei dettagli e negli schemi nascosti: si sa che
Flaubert era un perfezionista della scrittura e si faceva un vanto di essere
alla perenne ricerca de le mot juste (la parola giusta).
Flaubert si ispirò alle vicende realmente accadute di
una giovane donna di provincia, Delphine Delamare, del cui suicidio si parlò in
un giornale locale nel 1851.
Tutto su Madame Bovary: http://www.madamebovary.com/
Io...
Non avevo voglia di scrivere di Madame Bovary. L’ho letto volentieri,
ma il personaggio non mi è piaciuto, al contrario del personaggio di Anna
Karenina, bellissimo e mozzafiato. Così ho cercato molto su Internet e credo di
sposare in modo totale questa Recensione.
Recensione di Davide Dotto
Quando
ancora andavo a scuola, ricordo l’ansia di riassumere la trama dei romanzi che
il programma imponeva di leggere, le corse e le rincorse per accalappiare un
dettaglio, secondo una griglia più o meno articolata (se non intricata). In
questo modo si spegneva all’origine la passione della lettura, perché ci si
trasformava in una sorta di chirurgo. Per esempio: la trama qui riportata da
Wikipedia è esaustiva, non lascia dietro
nulla, io non avrei potuto far di meglio. Però… manca qualcosa, manca tutto.
Recensione:
Dalla lettura di Madame Bovary Dacia Maraini conserva una sorta di
perplessità, se non addirittura vero e proprio malessere:
“Erano colpi
severi per chi, come me, desiderava capire e simpatizzare con il personaggio”
(Cercando Emma, Rizzoli)
Questo non sorprende perché, considerando come è stato
scritto e concepito, il romanzo si presta a una lettura differente secondo il
lettore o la lettrice.
Le lettrici sono infastidite perché desiderano
immedesimarsi con Emma, ma non possono. Emma Bovary ingenera nella lettrice
insoddisfazione, sconcerto e malessere. E’ molto più accettabile prendere le
parti di Anna Karènina, personaggio di ben altra levatura pur se la sua storia
appare, almeno in superficie, assai simile. Per esempio sembrano
valere più per Anna le parole che la Maraini dedica a Emma: “figura tragica,
vittima di un matrimonio soffocante, tenuta in ostaggio da un marito vile e
inetto”.
Charles Bovary può dirsi inetto, ma non vile, si pensi
solo al comportamento tenuto con Emma, o al suo atteggiamento nei confronti
della prima moglie che difese contro i propri genitori, nonostante la vita
famigliare non procedesse per il verso giusto. Secondo certi canoni o l’occhio
che guarda si può convenire che Charles fosse pigro oltre che inetto, ma non
più di tanto.
Il marito di Anna Karènina, invece, può ben dirsi
vile, ma di certo non inetto.
Le rispettive mogli non sono tenere con i propri
mariti: se per Emma Charles Bovary “portava il cappello calcato sulle
sopracciglia e le grosse labbra tremolavano aggiungendo al suo viso qualcosa di
stupido”, ad Anna, ci ricorda un illuminante saggio introduttivo di Pietro
Citati, “ripugna il marito che si rivela per la prima volta mentre guarda le
cartilagini delle sue orecchie, che gli sorreggono le falde del cappello
tondo”. Viene quasi da domandarsi se il cappello non sia lo stesso.
Il gioco può continuare: i rispettivi mariti in un
modo o nell’altro sono causa del malessere delle consorti. Se Anna fugge da
Karènin accettando la corte di Vronskij, anche Charles è responsabile delle
sofferenze di Emma. Sennonché Emma sposa Charles per rincorrere i propri sogni
e per scappare finalmente dalla casa paterna. Emma rimprovera a Charles di non
aver assecondato le sue aspettative e di non averle dato man forte. Ma questo è
falso: Charles abbandona la città di Tostes affinché Emma guarisca dalla
depressione, optando per la città di Yonville. A Yonville però Emma cadrà dalla
padella nella brace: incontrerà Lhereux, Rodolphe prima e Lèon poi, fino al
tragico epilogo.
Se qualcuno ha vessato Emma, a differenza di Anna, più
che suo marito è stata lei stessa, o meglio il destino, la fatalità, il che
equivale ad attribuire la responsabilità allo stesso autore. Si potrebbe dire
che ogni personaggio ha l’autore che gli passa il convento: fosse capitata in
mano a Tolstoj si sarebbe chiamata Anna. Se Tolstoj ama Anna, Flaubert detesta
Emma e lo fa capire in tutti i modi.
Già da adolescente Emma “inseguiva il peggio della
letteratura dell’epoca”, lasciandosene avvelenare. Flaubert sulla cultura di
Emma infierisce senza pietà, con dovizia di particolari. Emma è imbevuta di
romanzi dozzinali, e la sua stessa vita vuole che sia come uno di questi. La
sua esistenza assomiglierà troppo a un romanzo di appendice (come in fondo
lascia trapelare la trama di Wikipedia).
Fosse vissuta ai nostri tempi, avrebbe immaginato luci
nella ribalta, o una telecamera intenta a inquadrarla: Emma si immagina di
essere un’eletta destinata al gran mondo, alla “casa della gioia” (romanzo di
Edith Wharton). Ma anche in questo caso non ha nulla a che vedere con Lily
Bart, altro personaggio letterario di ben altra levatura. Nel momento culmine
della tragedia, piuttosto, quando ha scialacquato non solo le sostanze ma la
vita, cosa non darebbe per fare un passo indietro, affinché le cose tornino
come prima.
Flaubert dimostra, pagina dopo pagina, di non sopportare
il suo personaggio, che maltratta riga dopo riga. Non nasconde il proprio
disprezzo, l’ironia diviene feroce e manca il distacco che ci si attenderebbe
da uno scrittore. Gustave Flaubert è presente e pressante come fosse l’ombra di
Emma: “… dietro lo specchio c’è un altro corpo ben più robusto e virile che
prova piacere a denigrarsi attraverso i tratti delicati di una donna inquieta e
velleitaria” (Dacia Maraini).
Chi legge non può stupirsi dell’ambiguità con la quale
il personaggio è costruito. Emma Bovary poggia i piedi su due staffe e alterna,
più che gli umori, le facce. Sin dall’inizio colpisce la sua recitazione e
l’indecisione di chi voglia essere: modula la sua voce a seconda della
situazione, del capriccio e dell’umore proprio o altrui. Non è, la recitazione,
un’arte: “Le sue recite hanno il pregio di durare poco. Poiché lei stessa è la
prima a stufarsi”. Perché recitare non è propriamente un male, conveniva
Flaubert, “lo diventa quando la messa in scena è approssimativa e di cattivo
gusto”. E’ attratta dalle cose belle e preziose, in ciò si presenta
profondamente materialista. Nessun male nemmeno in questo, se si rispetta
l’opportuna misura e non ci si offre alla rovina. C’è già l’ombra di Lhereux.
Illuminante sul punto una lettera di Flaubert del 1846, citata da Dacia
Maraini: “E’ penoso ma sono sempre stato così: desidero continuamente quello
che non ho, e non so godere quando ce l’ho”. E’ penoso nella misura in cui è
consapevole che “la vita non è fatta per questo. La felicità è una cosa mostruosa,
sono puniti coloro che la cercano” . Ricorda la Maraini che Flaubert in comune
con Emma ha anche il tedium vitae: “Sono nato annoiato, è questa la lebbra che
mi corrode”.
In questo modo viene alla luce il suo celebre: “Madame
Bovary c’est moi”, come se Emma personificasse uno o più tratti della sua
indole. E su questi tratti va giù duramente, creando un personaggio ad hoc,
mutuando il contesto da una notizia di cronaca e facendo il verso a una donna
in carne e ossa, la sua amante Louise Colet.
Come pretendere che una lettrice – tornando al
ragionamento di poco fa – si immedesimi con madame Bovary? Tra l’altro non era
di certo questa l’intenzione dell’autore: egli desiderava che il lettore
prendesse le distanze dal suo personaggio e dal suo mondo, cosa che Flaubert
stesso, a pensarci bene non poteva più fare. Lui sì che si era immedesimato con
Emma, tanto da non potersela più scrollare di dosso. Flaubert vuole, desidera e pretende che il
lettore e la lettrice giudichino Emma. Al contrario Tolstoj non vuole che si
pronunci un giudizio affrettato nei confronti di Anna Karènina, e lo dimostra
anteponendo al romanzo un monito severo: “Mihi vindicta:
ego retribuam” (A me spetta la vendetta, sarò io ad attribuire la ricompensa).
A questo punto considerare come i lettori uomini
possano avvicinarsi alla lettura di Madame Bovary è abbastanza chiaro: secondo
l’indole troveranno simpatia per Rodolphe, o si immedesimeranno con Charles una
volta decodificato il suo animo.
Charles fa da contraltare a Emma (come Karènin ad
Anna, del resto), la sua mitezza si rivela delicatezza d’animo, cosa che gli impedisce di infierire contro
Emma (ruolo di cui si è appropriato l’ autore). Se di colpa si può parlare,
essa riguarda entrambi. Si sono scelti in fretta e male, senza ponderazione:
lui per fuggire dalla recente vedovanza, lei per allontanarsi dalla casa
paterna. Emma è infelice perché è andata in sposa a Bovary e ancora non si
rende conto, non prospetta la catastrofe di là da venire.
Non va sottovalutato, insomma, il personaggio di
Charles Bovary, “Rozzo, goffo e pigro, si direbbe persino scemo, in realtà si
mostra capace di ciò che nessuno dei personaggi flaubertiani sa fare: amare con
dedizione materna, con tenerezza protettiva, con generosità infinita, la
persona che ha scelto di amare” (Dacia Maraini).
Il suo è un sentimento alquanto sofisticato, non
borghese: sarà goffo e vinto, ma le sue emozioni sono lontane da quelle
dozzinali di altri personaggi. Alle cose giunge per intuito, anche se
tardivamente, la personalità non si esprime in parole inutili ma nel
comportamento. Non ne vuole a Emma, ha capito che l’unica responsabile è la
fatalità. Questa è l’amabile e potente mitezza del vinto.
Credo che sarebbe stato bello, per Flaubert, poter
dire: “Charles Bovary c’est moi” (non era egli stesso pigro, inetto e pingue?).
Ma non sarebbe stato più Flaubert.
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