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15 feb 2013

Cloud Atlas [David Mitchell]


« Un'epica storia del genere umano nella quale le azioni e le conseguenze delle nostre vite si intrecciano attraverso il passato, il presente e il futuro come una sola anima è trasformata da un assassino in un salvatore e un unico atto di gentilezza si insinua nei secoli sino ad ispirare una rivoluzione »

I sei protagonisti di "Cloud Atlas - L'atlante delle nuvole" vivono in punti e momenti diversi del mondo e del tempo, eppure fanno parte tutti di un unico schema, una specie di matrioska composta da sei personaggi uniti l'uno all'altro dal filo sottile e inestricabile del caso. Le loro anime si spostano come nuvole, passando dal corpo di un notaio americano di metà Ottocento, giunto su un'isola del Pacifico per assistere ai devastanti effetti del colonialismo, al giovane musicista che s'intrufola nell'esistenza di un celebre compositore belga tra le due guerre mondiali. Da un'intrepida giornalista che indaga sull'omicidio di uno scienziato antinucleare in piena guerra fredda, a un editore inglese in fuga dai creditori nella Londra anni Ottanta, sino a un clone schiavizzato nella Corea del prossimo futuro. Per arrivare infine all'alba del nuovo mondo - all'indomani dell'Apocalisse - e al suo primitivo, stupefatto abitante. I sei personaggi si trasformano vivendo avventure incredibili in un affascinante, inventivo viaggio nella Storia dalle grandi esplorazioni fino ai confini del mondo che verrà - e nell'anima stessa dell'uomo. Un romanzo generoso, un'apoteosi di sapori, colori e atmosfere che emoziona, stordisce e finisce dove tutto era iniziato. Un'epica storia del genere umano nella quale le azioni e le conseguenze delle nostre vite si intrecciano attraverso il passato, il presente e il futuro, mentre le nostre anime mutano cambiando per sempre il nostro destino. (http://www.amazon.it/Cloud-Atlas-Latlante-delle-nuvole/dp/8820053489)

Le storie (Wikipedia)

·  Il Viaggio nel Pacifico di Adam Ewing (1849) : incentrata sulle discriminazioni razziali e sullo schiavismo; il protagonista è il ricco rampollo dell'alta società Adam Ewing, che incontra il clandestino nero Autua mentre patisce le angherie del Dr. Goose. La storia è narrata attraverso le annotazioni del diario di viaggio di Ewing, è incentrata sulle discriminazioni razziali e sull'abolizione della schiavitù;
·    Lettere da Zedelghem (1936) : ambientata a Zedelghem, vicino a Edinburgo (Scozia), dove Robert Frobisher, giovane musicista gay, lavora come copista per il compositore Vyvyan Ayris. La storia è narrata attraverso le sue lettere all'amico e amante Rufus Sixsmith; nelle lettere Robert racconta a Rufus di avere in mano il diario di Adam Ewing;
·   Mezze vite - Il primo caso di Luisa Rey (1973) : ambientata a Buenas Yerbas, in California, più marcatamente noir, vede la giovane reporter Luisa Rey coinvolta in un'inchiesta giornalistica sulla vociferata insicurezza della nuova centrale nucleare. La storia assume una piega inaspettata quando s'imbatte in Rufus Sixsmith (amante di Frobisher nel segmento del 1936) in versione anziana, ottenendo informazioni confidenziali ed imbattendosi nella composizione "Cloud Atlas Sextet" di Frobisher. Questo segmento è incentrato sui poteri delle compagnie energetiche;
·    La tremenda ordalia del Signor Cavendish (2012) : l'editore Timothy Cavendish viene ricattato dai fratelli di un suo scrittore di successo, ma di fatto un criminale. Costretto a pagar loro una cifra esorbitante, chiede aiuto al fratello più anziano, il quale è però rancoroso nei suoi riguardi per le continue richieste di aiuto finanziario e per la relazione adultera che ha avuto con sua moglie Georgette. Come vendetta, fa richiudere Timothy in una casa di riposo per anziani, casa che si rivelerà di fatto un carcere e da cui il signor Cavendish non sembra poter fuggire (anche se vi riuscirà insieme ad altri). Questo segmento è incentrato sul tema della senilità e sui riguardi che una società ha verso i più anziani, generalmente rinchiusi in strutture specializzate senza ulteriori ripensamenti. Timothy è un editore che sta valutando il libro “Mezze vite – Il primo caso di Luisa Rey”;
·  La Preghiera di Sonmi~451 (2144): ambientato in Nea So Copros, è un futuro distopico, fortemente sessualizzato, che si scopre aver luogo a Neo Seoul, nella Corea del Sud. Qui le autorità gestiscono una società totalitarista in cui l'ateismo è una sorta di religione, e la sola e nuova fede ammessa è quella "dell'unanimità" (una scimmiottatura del concetto di umanità, con un sottile riferimento alle società comuniste). Gli esseri umani sono educati, programmati, come automi in un immenso riformatorio sociale. Ogni violazione dei protocolli "catechistici" è un colpa terribile, poiché dietro la facciata luminosa agisce un potere che sfrutta gli esseri umani alla stregua di carne da macello con il mero scopo di portare avanti un sistema consumistico. Sonmi~451 è una artificio (o clone) che, con l'aiuto del ribelle Hae-Joo Chang, riesce ad evadere dal locale in cui è ridotta a schiava per portare il messaggio di denuncia contro il sistema. Il ribelle Hae-Joo Chang le mostrerà infatti quale "terminazione" avrebbe subito come artificio durante lo svolgimento di rito ingannevole. Questo segmento è una denuncia che si indirizza agli orrori della società consumista, cioè di un sistema che ha espluso la religione, ha creato una para-fede sociale obbligatoria, e sembra voler offrire una tutela al popolo, ma di fatto lo divora come in un tritacarne;
·    Sloosha Crossing e tutto il resto (2321): raccontata dal vecchio Zachry, si ambienta sullo scenario primitivo post-apocalittico della Grande isola di Hawaii. Il suo popolo, gli autoctoni della valle, sono pacifici contadini, ma subiscono le razzie dai terribili uomini della tribù cannibale di Kona. Il popolo di Zachry sembra aver perso le radici di una antica fede, e l'insopprimibile senso religioso è stato rielaborato nel culto dedito alla dea Sonmi. Nel piccolo villaggio si vive in un mondo successivo alla cosiddetta Caduta, quando i Vecchi Antenati, ossia gli antichi civili abitanti della Terra scomparvero, e i superstiti ripiombarono a uno stato primitivo. Tuttavia una donna di nome Meronym, membro dei "Prescenti", ultimi sopravvissuti di una civiltà tecnologicamente avanzata, si presenta al villaggio per cercare delle risposte. Ella è fornita di strumenti medici potenti e riesce a salvare la vita della nipote di Zachry. L'uomo si sdebita con lei e accetta di farle da guida fin sulla sommità del Mauna Kea, un luogo che la sua gente teme in quanto si vocifera di templi misteriosi sulle sue alture, ma che per Meronym è molto importante. Prima della caduta la popolazione della terrà emigrò su altri pianeti e proprio sulla sommità del monte si dovrebbe trovare qualcosa per comunicare con i nuovi mondi. Sarà proprio qui che Meronym scioccherà Zachry rivelandogli che la loro dea Sonmi era un comune essere umano, e gli mostrerà un video di un suo messaggio. Ma quando avranno fatto ritorno al villaggio, nulla sarà più come prima. Questo segmento è incentrato sulle false divinità religiose il cui culto si diffonde e prolifera in società decadute, ma anche sulle istigazioni, le tentazioni, la discomunione e la diffidenza, che una figura maligna, chiaramente identificata come il demonio, sparge nel cuore dell'uomo per mettere gli esseri umani gli uni contro gli altri.

Il libro ed il film

(http://www.minimaetmoralia.it/wp/cloud-atlas-libro-e-film/)

È un peccato che ci siano voluti nientemeno che i fratelli Wachowski per salvare L’atlante delle nuvole dal dimenticatoio in cui era finito nel 2004, anno della sua prima pubblicazione. Non tanto perché il terzo lavoro di David Mitchell (quarantenne inglese semisconosciuto in Italia nonostante nel nostro paese ci abbia pure vissuto, in Sicilia) sia privo di difetti, ma perché a conti fatti i pregi bastano a compensarne le non poche esitazioni narrative e a perdonargli l’imperdonabile per eccellenza dell’industria culturale: un’idea molto ambiziosa realizzata solo in parte. L’atlante delle nuvole, il libro, è una di quelle opere che rientrano nella categoria ondivaga di ciò che può essere considerato “importante” al di là dei meriti estetici, quei prodotti più o meno belli che hanno la capacità di rimanere nel tempo, di riassumere un’epoca o di diffondere su larga scala un’idea già nota ma mai espressa in maniera così esplicita a strati così larghi di popolazione. Un punto d’arrivo o di svolta, la consapevolezza acquisita che un’idea è stata sfruttata fino in fondo. Il fatto che a portarlo sullo schermo siano stati proprio i Wachowski non è un caso dato che i due fratelli di Chicago hanno fiuto per questo genere di operazioni, se è vero che Matrix era rappresentativo dell’ingresso nel mondo cyber alla fine degli anni Novanta tanto quanto V per vendetta lo era della nascita, alla metà degli anni Zero, del nuovo movimentismo in stile Occupy Wall Street.
L’altante delle nuvole, libro e film, raccontano la stessa storia in una maniera apparentemente simile: sei racconti collegati tra loro che dal passato (un avvocato americano in viaggio nell’Oceano Pacifico nel 1849) arrivano fino al lontano futuro (l’umanità dopo l’apocalisse). Nella prima parte del romanzo le sei storie si interrompono a metà, per poi riprendere nella seconda parte in ordine inverso, dal futuro al passato, fino a chiudere il percorso in una forma perfettamente circolare. Poiché ognuna delle sei storie entra in contatto con la storia cronologicamente successiva sotto forma di testo scritto (il diario dell’avvocato viene letto da un compositore inglese nel 1930; le lettere del compositore giungono nelle mani di una giornalista nel 1975; e così via), L’atlante delle nuvole, il libro, oltre a essere una riflessione sul destino della civiltà è anche una riflessione sul ruolo della parola scritta in questo destino. E proprio qui sta il merito maggiore di David Mitchell, che si dimostra scrittore di tecnica sopraffina nel saper calibrare ogni storia su uno stile diverso che rimanda a una specifica tradizione letteraria (il romanzo epistolare, il bildungsroman, il thriller investigativo ecc.), peraltro in maniera sempre emotivamente coinvolgente e mai leziosa o accademica. Questo pastiche tardo-postmoderno di stili diversi è anche il motivo che giustifica la struttura complessiva del romanzo, con le sei storie ben separate piuttosto che mescolate tra di loro.
Al contrario Cloud Atlas, il film, abbandona totalmente il discorso relativo alla parola letteraria e piega la storia alle specificità del proprio mezzo di comunicazione: ai sei capitoli dai confini delimitati preferisce lo strumento che da sempre il cinema predilige per istituire connessioni, il montaggio. A differenza del testo scritto il cinema ha poi il potere niente affatto trascurabile di trasferire l’immagine che si forma nella mente del lettore in una forma esterna, e dunque oggettiva. I fratelli Wachowski sfruttano fino in fondo questa oggettività dell’immagine vista rispetto alla soggettività dell’immagine letta per riassumere sullo schermo il discorso relativo alle connessioni tra i personaggi, che invece è probabilmente uno dei punti più deboli del romanzo di Mitchell.
Ne L’atlante delle nuvole, libro, non sono infatti solo le storie a entrare in connessione reciproca, ma il lettore ha spesso l’impressione che i personaggi stessi siano reincarnazioni dei personaggi delle storie cronologicamente precedenti. In Mitchell questo sospetto rimane tale e non è suffragato da alcuna prova, se non dall’indizio fornito da una voglia a forma di stella cometa che compare sulla pelle di diversi (ma non tutti i) personaggi. In Cloud Atlas al contrario i registi enfatizzano questo punto nel modo forse più didascalico possibile, e cioè utilizzando uno stesso attore per interpretare diversi ruoli in diverse storie. Non solo, ma la prova che il film è più fedele agli intenti del libro che il libro stesso sta nel fatto che questa sorta di ubiquità corporale dei personaggi non si ferma nemmeno davanti alle distinzioni solo apparentemente invalicabili di genere, così che attori maschi vengono utilizzati per interpretare ruoli femminili (ma per qualche motivo mai viceversa).
Se visivamente parlando l’effetto tocca più di una volta i limiti del trash, pare comunque ragionevole chiedersi se una forzatura così palese non sia in fondo l’unica scelta possibile per mettere in scena un discorso che già in partenza deborda ben oltre i confini della ragionevolezza. Come dire: se il romanzo-mondo contiene tutto ciò che può essere immaginato è giusto allora fare i conti con i mostri, e Hugo Weaving vestito da infermiera mostruoso lo è davvero, eccome.
Il risultato della trasposizione cinematografica è dunque il seguente: che in una maniera abbastanza mistica da essere coerente con la materia trattata, libro e film sembrano completarsi a vicenda, venendo ciascuno in aiuto delle mancanze dell’altro. L’atlante delle nuvole, libro, funziona infatti bene come raccolta di racconti disposti in maniera creativa (vale a dire le sei storie prese singolarmente) ma rivela una certa fragilità strutturale se considerato nell’insieme, non solo perché come si è detto i nessi che legano una storia alle altre sono a volte deboli e a volte vistosamente forzati, ma anche perché il semplice esistere nel tempo delle singole storie sotto forma di testo scritto resta un’evidenza troppo debole per giustificare o almeno per rendere narrativamente potente la constatazione di per sé piuttosto ovvia che “tutto è connesso”.
L’impressione per il lettore è quella di trovarsi di fronte a un lavoro molto ambizioso ma non del tutto riuscito: se il punto centrale del discorso è il destino dell’umanità allora la stella cometa di cui sopra è troppo poco per creare davvero un senso globale, se il punto è il ruolo della letteratura allora il romanzo manca di quella pulsione enciclopedica, di quella necessaria tendenza alla dispersione che ha reso grandi le opere di scrittori come Borges o Bolaño (in questo senso Mitchell sembra ancora troppo legato a un senso della forma oppure, più banalmente, è ancora troppo mainstream; a proposito del rapporto tra Bolaño e L’atlante delle nuvole si veda il bell’articolo di Cristiano De Majo pubblicato su “Studio”.
In Cloud Atlas, il film, le singole storie funzionano invece solo lo stretto indispensabile per non far collassare l’architettura narrativa generale, che occupa visibilmente il centro dell’attenzione dei registi: smembrate dal gioco del montaggio alternato e disposte in maniera sequenziale le singole vicende si affloscerebbero nella più totale insignificanza. Tuttavia nel complesso, proprio come il libro, anche il film funziona, riuscendo a reggere 175 minuti (leggi 600 pagine) che alternano momenti di buon intrattenimento a momenti di ottimo cinema (leggi ottima letteratura). Proprio focalizzando l’attenzione laddove Mitchell aveva dimostrato di non riuscire a gestire la complessità messa in campo, i fratelli Wachowski arrivano a realizzare quell’”atlante” che il libro vorrebbe essere senza farcela fino in fondo: una mappa a volte retorica, iper-emotiva come ogni buon kolossal dovrebbe essere, che non risparmia un happy end del tutto assente dalle intenzioni di Mitchell e in buona parte priva delle sottigliezze del libro, ma che in qualche maniera ne porta a compimento quelle ambizioni che, sulla carta stampata, erano rimaste soltanto allo stadio latente.

Particolarità

·    Il numero 451 di Sonmi-451 è un riferimento a Fahrenheit 451, romanzo di fantascienza di Ray Bradbury.
·   L'abbigliamento di Meronyma, nel capitolo ambientato nel 2321, ricorda quello di Leila Organa in Star Wars.
·    La frase che inizia il suocero di Adam Ewing, dicendo "Siete solo delle gocce in un oceano" e a cui Adam risponde "Cos'è l'oceano, se non una moltitudine di gocce..." è una citazione aMadre Teresa di Calcutta.
·    L'aspetto di Neo Seul richiama quello di Neo Tokyo della serie Neon Genesis Evangelion, in particolare quando Hae-Joo le mostra le rovine della vecchia Seul, grattacieli ormai sommersi dell'aumento della marea, stessa visione della vecchia Tokyo di Evangelion.
·    Timothy Cavendish, intento a fuggire dalla casa di riposo dove era stato rinchiuso, grida ai suoi coetanei detenuti "Soylent Green! Soylent Green è fatto di persone!", citando 2022: i sopravvissuti. Anche la scoperta di Sonmi~451 che tutti i corpi degli artifici uccisi al termine del servizio vengono riutilizzati per produrre il loro unico alimento è una citazione della scena finale del film.
·    Tutta la vicenda di Sonmi-451 (come a sua volta il film 2022: i sopravvissuti) è un chiaro riferimento all'olocausto; in particolare i vari cloni condotti alla "macelleria" dove vengono "riciclati" rispecchiano gli ebrei che dai campi di concentramento venivano condotti ai forni crematori e alle camere a gas. Difatti, dopo la cremazione in camere a gas dalle ossa tritate dei cadaveri degli ebrei si facevano sapone o saponette, e sapone viene chiamato anche l'alimento degli artifici. Ma è anche un riferimento al film 2022: i sopravvissuti: il Soylent Green è infatti un alimento prodotto attraverso la liquefazione dei morti. E che dire dell'innegabile richiamo a Matrix?[senza fonte]
·   La scena in cui Zachry e Meronyma si nascondono sotto il ponte dai selvaggi a cavallo ricorda quella della compagnia dell' anello dove gli hobbit si nascondono dai nazgul.
·    Il dr Goose (Tom Hanks) mentre avvelena Adam Ewing gli toglie un anello e lo mette nel taschino con fare e inquadrature che citano platealmente il signore degli anelli di Peter Jackson
·    Il discorso dei mondi sui quali gli esseri umani sarebbero emigrati prima o dopo La Caduta è un chiaro riferimento al ciclo delle fondazioni di Asimov
 

Prefazione al libro, di David Mitchell

«E allora, che effetto fa?». Questa è la classica domanda ricorrente che ti senti fare, quando il tuo libro arriva alla fine della lunga ascensione dal purgatorio della produzione ai multisala. Per prima cosa senti l’impatto fisico che provoca vedere e sentire le tue parole che prendono corpo. Davanti ai tuoi occhi, gli attori pronunciano un dialogo che hai scritto nella tua camera anni prima, e tutti quegli esseri della non esistenza diventano reali. Trovano lampi di ironia o di minaccia che non hai previsto e presto sparisce ogni ricordo di come hai immaginato il personaggio, prima che l’attore si mettesse nei suoi panni. Per un drammaturgo o uno sceneggiatore questo WOW ontologico è pratica di tutti i giorni, ma a me il ricordo della prima lettura della sceneggiatura fatta dal cast resterà impresso per sempre.
Tre o quattro attori non potevano esserci, e i tre registi del film – Tom Tykwer, Lana e Andy Wachowski, anche autori della sceneggiatura – dovevano riassegnare i ruoli mancanti: mi è sembrato scortese non offrirmi volontario. Non partecipavo a una lettura di gruppo dalle lezioni di inglese al liceo, ma invece dei miei compagni diciassettenni che arrancavano sulle pagine di Passaggio in India, questa volta c’erano niente meno che Mr Hanks, Miss Berry, Mr Grant e Mr Broadbent. E leggevano parole platealmente familiari. Nell’insieme sembrava come un sogno in cui trovi Gandhi che gioca a Forza quattro con l’idraulico nello sgabuzzino del sottoscala: non erano i singoli elementi della scena a essere surreali, ma piuttosto la loro giustapposizione. 
Alla fine però elabori il fatto che ti sei trasformato: non sei più il Creatore monoteistico del tuo libro, ma il tipo che, en passant, ha scritto il romanzo originale. Come la prendi, dipende, immagino, da come prendi l’adattamento. Mano sul cuore: giuro che non ho mai provato troppa ansia da questo punto di vista. Ho incontrato i tre registi nel 2008: il loro stile e le loro idee mi hanno rassicurato: ero in mani capaci. Il loro progetto di mettere in primo piano il tema delle anime migranti, con attori che interpretano diversi ruoli (ogni ruolo è una specie di stazione in questo viaggio karmico dell’anima) mi è sembrato ingegnoso.
Certi cambiamenti nella trama e nei personaggi erano inevitabili: così i sei mondi del libro si sarebbero potuti modellare in un contenitore a forma di film: l’amore tra lo Zachary (ormai) maturo e Meronym nelle Hawaii postapocalittiche per esempio, o l’epilogo di Cavendish che compare nel film ma non nel libro. Peraltro la struttura a matrioska del libro è diventata piuttosto a mosaico: non puoi chiedere a uno spettatore di iniziare un film per la sesta volta dopo cento minuti, e sperare che non ti tiri il popcorn.
Capivo che ogni qual volta la sceneggiatura si staccava dal romanzo era per sane ragioni narrative che mi lasciavano più impressionato che irritato. (Durante la lettura sono stato seduto accanto a Lana Wachowski e quando una battuta mi sembrava particolarmente forte, le sussurravo: «Questa è tua o mia?» Il risultato era 50/50, direi). Comunque l’adattamento di un romanzo può essere un disastro non per troppa infedeltà, ma anzi per troppa fedeltà: perché fare tutti quegli sforzi per produrre un audiolibro con le figure? 
La produzione! Una settimana sul set a Berlino nel dicembre 2011 mi ha dato accesso a un mondo di cui avevo sentito spesso parlare, ma che non avevo mai visto da vicino. Guarda: c’è un’unità di riciclaggio cloni dove non c’era niente un’ora fa. Attento, è in arrivo una montagna di fibre ottiche. Cosa? Le porte scorrevoli nei film di fantascienza sono fatte di compensato? Mettere il naso nel lavoro degli altri è un’abitudine da scrittore che cerco di coltivare. Così ho riempito una Moleskine di interviste ufficiose con una serie di professionisti che incontro di rado, se non mai, nella mia vita semisolitaria di romanziere: insegnanti di dizione, editor di sceneggiature, costumisti e scenografi, esperti di computer animation, avvocati dello spettacolo, addetti al catering, comparse, un designer di macchine futuristiche, stuntmen e revisori dei conti che tengono d’occhio le cascate del Niagara finanziarie generate da ogni film in piena produzione.
È molto cresciuto anche il mio rispetto per gli attori: non c’era niente di artificiale nella scena in cui la sempre splendida Halle Berry rimaneva immersa nell’acqua fino al collo (per la seconda ripresa quel pomeriggio); e David Gyasi, che recita la parte di un moriori dell’Ottocento, mi ha aiutato a decifrare l’accento che avevo in mente quando scrivevo il personaggio, passando con grazia da un perfetto accento maori, al caraibico e all’africano, con la semplicità di un uomo che cambia cappello. Grazie a un mio piccolo cameo ho imparato anche quante ore si passano sul set per ogni minuto sullo schermo. Non c’è da stupirsi che alcuni attori diventino lettori voraci. 
Durante le riprese i registi sono spesso paragonati a generali durante la guerra, ma non sono sicuro che la metafora renda loro del tutto giustizia. Il regista non è solo uno stratega: deve essere drammaturgo e montatore; deve tenere alto il morale e distribuire calci nel sedere; deve essere cameraman e tecnico del suono, diplomatico ed economista; e (idealmente) artista del massimo calibro. Ha anche bisogno di una tonnellata di resistenza fisica e mentale: durante la produzione, per sedici o diciassette ore al giorno viene bombardato da centinaia e centinaia di domande. Seguire da vicino i Wachowski e Tom Tykwer per qualche giorno mi ha incoraggiato a cercare somiglianze e differenze tra la mia dipendenza dalla scrittura e l’impresa relativamente enorme di fare un film.
Forse quando il testo scivola verso l’ambiguità, il film tende a essere specifico. (Agli studenti di scrittura creativa s’insegna spesso a «mostrare e non dire», ma la verità è che le parole possono solo dire: ecco perché non sono immagini). Forse un romanzo contiene tante versioni di sé quanti sono i lettori, laddove il final cut di un film fa evaporare ogni altro possibile modo di realizzarlo, almeno fino a un remake o a un director’s cut. Ma se una scena scritta può contenere una serie limitata di dettagli, ogni minimo aspetto di quella filmata – luce, suono, oggetti – può e deve essere preso in considerazione.
E se uno scrittore ha solo mezzi goffi per dire esattamente come una certa frase deve suonare nella testa del lettore (corsivo e avverbi), un regista deve trovare il tono perfetto di quella frase e mantenerlo per tutto il tempo della ripresa. Il cinema dietro le quinte è un mondo straordinario, come lo è sullo schermo. Qualunque sia il destino commerciale del film sarò sempre grato a Cloud Atlas – L’atlante delle nuvole e ai suoi tre registi per avermi garantito un visto temporaneo per questo mondo.

Robert Frobisher

 
Hôtel Memling, Bruges
Quattro e mezzo del mattino, 12-XII-1931
Sixsmith,




alle 5.00 mi sparo nel palato con la Luger di V.A. Ma ti ho visto, mio caro, caro amico mio! Sono commosso che ti importi così tanto di me! Ieri ti ho visto sul belvedere del campanile, al tramonto! Per puro caso non mi hai visto tu per primo. Ero all’ultima rampa di scale, quando ho individuato un uomo di profilo che si appoggiava al balcone, guardando il mare. Ho riconosciuto il tuo azzimato cappotto di gabardina, il tuo solo e unico Trilby. Un altro gradino e mi avresti colto accucciato nell’ombra. Tu sei andato al lato nord – se facevi un giro verso la mia parte mi beccavi. Ti ho fissato più a lungo che ho potuto, forse per un minuto, prima di tornare indietro e correre giù a terra. Non ti arrabbiare. Grazie per avermi cercato. Sei venuto sul Kentish Queen?
Domande abbastanza inutili, no?
Non è stato un puro caso che io ti abbia visto per primo, no davvero. Il mondo è un teatro d’ombre, un’opera, e queste cose sono scritte a caratteri cubitali nel suo libretto. Non ti arrabbiare per il mio ruolo, non capiresti nemmeno se ti spiegassi a lungo. [...] I sani non possono capire gli svuotati, i distrutti. Cercheresti di fare la lista delle ragioni per vivere, ma io me le sono lasciate alle spalle a Victoria Station all’inizio dell’estate. La ragione per cui sono sgattaiolato via dal belvedere è che non volevo che poi ti rimproverassi per non essere stato capace di dissuadermi.
[...] Gli abbandonati, quelli che chiedono aiuto, tutti quegli attori tragici sdolcinati che hanno dato al suicidio una brutta reputazione, sono gli idioti che si affrettano, come direttori d’orchestra dilettanti. Un vero suicidio è una certezza regolata e disciplinata. La gente pontifica: «E’ un atto egoista». Gli ecclesiastici in carriera come Pater vanno un passo più in là chiamandolo un attacco codardo alla vita. I creduloni discutono questa frase speciosa per varie ragioni: per evadere dalla stretta della vergogna, per impressionare il pubblico con la propria fibra mentale, per dar fiato alla rabbia; o solo perchè non si è provata quella sofferenza che è necessaria a simpatizzare. La codardia non c’entra niente – il suicidio richiede un notevole coraggio. I giapponesi hanno l’idea giusta. No, quello che è davvero egoista è chiedere agli altri di tollerare un’esistenza intollerabile, solo per risparmiare alle famiglie, agli amici e ai nemici qualche esame di coscienza. Il solo egoismo è rovinare i giorni altrui con lo spettacolo del proprio grottesco. Quindi mi farò un turbante spesso con vari asciugamani per attutire il colpo e assorbire il sangue e lo farò nella vasca da bagno, così non macchierò il tappeto. Ieri sera ho lasciato una lettera sotto la porta dell’ufficio diurno del direttore – la troverà domattina alle 8.00 – informandolo del cambiamento del mio stato esistenziale, quindi con un po’ di fortuna una cameriera innocente si risparmierà una sorpresa spiacevole. Vedi che penso alla povera gente.
Non lasciargli dire che mi sono ucciso per una delusione d’amore. Sixsmith, sarebbe troppo ridicolo. Sono stato infatuato di Eva Crommelynck per un breve istante, ma in fondo sappiamo tutti e due chi è il vero amore della mia vita.
Insieme con questa lettera e con il resto del libro di Ewing, ho dato disposizione che tu trovi a Le Royal un faldone con i miei manoscritti completi. [...] E’ una composizione incomparabile. [...] La verità è che non so da dove arriva. Un sogno a occhi aperti. Non scriverò mai nient’altro che valga un centesimo di questo. Vorrei essere immodesto, ma non è così. Il sestetto Atlante delle nuvole ha dentro di sé la mia vita, è la mia vita, ora sono un fuoco d’artificio spento; ma almeno ho brillato.
[...]  La Luger è qui. Tredici minuti alla fine. Ovvio che sento trepidazione, ma il mio amore per questa coda è più forte. Un brivido elettrico perchè, come Adrian, so che sto per morire. Orgoglio: vedrò quel che c’è dopo. Certezze. Quando ti spogli delle credenze che ti hanno passato le governanti, le scuole e gli Stati, trovi verità indelebili dentro di te. Roma andrà in declino e crollerà di nuovo. Cortazar farà di nuovo vela e poi anche Ewing. Adrian sarà di nuovo fatto a pezzi, tu e io dormiremo di nuovo sotto le stelle della Corsica, verrò di nuovo a Bruges, mi innamorerò e disamorerò di Eva, tu leggerai di nuovo questa lettera e il sole di nuovo diventerà freddo. Un disco sul grammofono di Nietzsche. Quando finisce, il Grande Vecchio lo rimette, per l’eternità delle eternità.
Il tempo non riesce a penetrare questo periodo sabbatico. Non resteremo morti a lungo. Una volta che la mia Luger mi avrà fatto andare via, la mia nascita ricomincerà, in un battito del cuore. Tra tredici anni ci incontreremo di nuovo a Gresham, diecii anni dopo io sarò di nuovo nella stessa stanza, con in mano la stessa pistola, scrivendo la stessa lettera, la mia decisione compiuta come il mio sestetto dalle molte teste. Queste eleganti certezze mi confortano.
Sunt lacrimae rerum.
R.F. (Robert Frobisher)

Altre citazioni

«Dietro ogni segreto si cela il timore della scoperta.»
«Non sapere il peggio è peggio che non saperlo.»
«Non so perchè, ma i segreti ti rodono dentro se non li butti fuori.»
«Le rivoluzioni sono sempre pura fantascienza finchè non accadono; poi diventano realtà storiche inevitabili.»
«Il sacro è un nascondiglio ideale per il profano: sono così simili. »
«Un incubo non è necessariamente impossibile.»
«In principio c’è l’ignoranza. L’ignoranza genera la paura. La paura genera odio e l’odio genera violenza. La violenza crea altra violenza, finché l’unica legge diventa ciò che viene stabilito dal più forte. »
«I libri non offrono una vera via di fuga, ma possono impedire alla mente di scorticarsi viva.»
«Quella storia mi ha svuotato, ma nel vuoto cosa risuona, mio caro? La musica, Sixsmith, che venga e rimanga.»
«Non si può varcare l'abisso con due soli passi.»
«Le anime attraversano le età come le nuvole i cieli, e anche se le nuvole cambiano spesso forma, colore e dimensioni, una nuvola è sempre una nuvola e un'anima è sempre un'anima. Chissà chi soffia le nuvole e chissà come sarà la mia anima domani? »
«Il selvaggio pensa solo a soddisfare i suoi istinti. Se ha fame, mangia. Se è arrabbiato, fa a pugni. Se c'ha il pungolo, si fa il primo che capita. E' schiavo dei suoi stessi istinti e se l'istinto gli dice di uccidere, lui uccide. Come fanno i predatori. Il civilizzato ha gli stessi istinti del selvaggio, ma è più lungimirante. Mangia solo la metà del cibo, e pianta l'altra metà per non morir di fame in seguito. Se si arrabbia, si ferma e riflette sul perchè, per non arrabbiarsi la volta dopo. Se c'ha il pungolo, beh, ha sorelle e figlie che vanno rispettate, perciò rispetta pure le figlie e le sorelle degli altri. Domina i suoi istinti e anche se l'istinto glielo dice, lui non lo fa. Selvaggi e civilizzati non sono separati da tribù, da credenze o da montagne, no, ogni essere umano è tutte e due le cose. »
«Il tempo è la velocità con cui scompare il passato.»
«Ogni coscienza ha un interruttore da qualche parte»



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