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28 feb 2013

All'ombra delle fanciulle in fiore - Marcel Proust: Autour de Madame Swann

All'ombra delle fanciulle in fiore - Autour de Madame Swann
Marcel Proust

PPC=Pour prendre congé
A volte si è amati, oggetto di attenzioni indesiderate. Ne siamo infastiditi, non ci sentiamo colpevoli del dolore causato e tentiamo di giustificare la nostra presupposta innocenza, ci inventiamo di non aver causato  nè il dolore nè la sofferenza, non ci sentiamo responsabili di aver in qualche modo alimentato i desideri di chi ci ama e cerchiamo di sfuggire a quel fastidio, riportando l'amante di turno alla realtà evidente del nostro disprezzo e della nostra indifferenza.
Ma la ruota gira, sempre, nella vita, e ci ripaga della stessa moneta.
 
Così a nostra volta diventiamo amanti, creatori di illusioni dolorose. L'immagine del nostro amato che ci torna e ci fa soffrire non è l'immagine reale della persona che abbiamo di fronte, bensì la proiezione dei desideri e delle speranze nutrite verso l’essere desiderato. Viviamo in un mondo falsato dalle nostre emozioni. Perdiamo il contatto con la persona che è oggetto del nostro amore e quando la realtá, infine, si svela al nostro cuore, nella sua crudezza, l’amore lentamente volge alla fine, avvolto da una finta indifferenza, simulata per colpire quell’essere indegno del nostro amore. E quando l’indifferenza diventa alla fine reale e ci spinge a volgere le nostre attenzioni altrove, può capitare che quella che un tempo avremmo definito come “felicità” e nostra aspirazione assoluta, arriva, ma troppo tardi, perchè oramai non ci interessa più.

Un amore che finisce è capitato a tutti. Abbiamo sofferto, il nostro cuore si è straziato. Abbiamo pensato di morirne. Ma prima o poi, è successo, ed abbiamo cessato di desiderare.
 Marcel Proust percorre un'analisi lucida, terribilmente razionale eppure di un lirismo ineccepibile, della fine del suo amore per Gilberte, ardentemente desiderato e mai corrisposto. Tutti possiamo ritrovarci, in queste pagine, perchè tutti prima o poi abbiamo sofferto, in tutte le sfumatore possibile, quel sentimento inequivocabilmente doloroso, che ci rende sperduti e ci toglie la gioia della vita.

 È Proust, potevamo aspettarci di meno?
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«L’idea che per molto tempo ci siamo fatti di una persona occlude gli occhi e le orecchie.»

«Pochi capiscono il carattere puramente soggettivo di quel fenomeno che è l’amore, e com’esso sia una specie di creazione d’una persona supplementare, distinta da quella che porta lo stesso nome in società, una persona di cui la maggior parte degli elementi sono opera nostra. Perciò pochi sono coloro cui appaiono naturali le proporzioni enormi che finisce con l’assumere per noi un essere che non è lo stesso che essi vedono.»

«Soffiava un vento umido e dolce. Era un tempo che conoscevo; ebbi la sensazione ed il presentimento che il Capodanno non fosse un giorno diverso dagli altri, che non fosse il primo giorno d’un mondo nuovo dove avrei potuto, con probabilità ancora intatte, rifare la conoscenza di Gilberte come al tempo della Creazione, come se non esistesse ancora un passato, come se fossero state annientate, con gli indizi che se ne sarebbero potuto trarre per l’avvenire, le delusioni che Gilberte a volte mi aveva date: un nuovo mondo dove nulla sussistesse dell’antico... nulla fuorché una cosa: il mio desiderio che Gilberte mi amasse. Capii che, se il mio cuore si augurava di vedersi rinnovato d’intorno un universo che non l’aveva appagato, era perché lui, il mio cuore, non era cambiato, e mi dissi che non c’era ragione perché fosse cambiato quello di Gilberte; sentii che quella nuova amicizia era la stessa, così come un fossato non separa dagli altri gli anni nuovi che il nostro desiderio, senza poterli raggiungere né modificare, ricopre a loro insaputa d’un nome diverso.

Tornai a casa. Avevo vissuto il Capodanno degli uomini vecchi che differiscono in quel giorno dai giovani non perché non ricevono più strenne, ma perché non credono più all’anno nuovo.  Strenne io ne avevo avute, ma non quell’unica che mi avrebbe fatto piacere e che sarebbe stato un rigo di Gilberte. Eppure, ero ancora giovane, nonostante questo, se avevo potuto scriverle con la speranza che il dirle i sogni solitari della mia tenerezza ne risvegliasse di simili in lei. La tristezza degli uomini invecchiati è di non pensare neppure a scrivere certe lettere di cui hanno imparato l’inutilità.»

«Un dolore causato da una persona che si ama può essere amaro, anche quando si inserisce in mezzo a preoccupazioni, occupazioni, gioie che non abbiano per oggetto quell’essere e da cui la nostra attenzione solo di tanto in tanto si distolga per tornare a  lui. Ma, quando un simile dolore nasce, come era il caso per me, nel momento in cui la felicità di vedere quella persona ci colma per intero, l’improvvisa depressione che allora pervade la nostra anima fino a quel momento soleggiata, protetta e calma, determina in noi una furibonda tempesta contro cui non saremo capaci di lottare fino all’ultimo. [...] Stavo per passare per una di quelle congiunture difficili davanti alle quali accade in generale di trovarsi a parecchie riprese nella vita e che, benché non sia cambiato carattere né natura – la nostra natura che crea lei stessa i nostri amori, e quasi le donne che amiamo, e perfino le loro colpe – ogni volta, vale a dire a ogni età, non si affrontano mai nella stessa maniera. In quei momenti la nostra vita è divisa e come distribuita in una bilancia, su due piatti opposti che la contengono per intero. Nell’uno v’é il nostro desiderio di non dispiacere, di non apparire troppo umili all’essere che amiamo senza riuscire a comprenderlo, ma che stimiamo più abile lasciare un poco in disparte perchè non abbia quel senso di credersi indispensabile che lo allontanerebbe da noi; nell’altro piatto della bilancia v’è una sofferenza – e non già una sofferenza circoscritta e parziale – che, al contrario, potrebbe acquietarsi solo se, rinunciando a piacere a quella donna e a farle credere che possiamo privarci di lei, tornassimo di nuovo a cercarla. Quando dal piatto su cui è la fierezza si sottrae una piccola dose di volontà che abbiamo la debolezza di lasciar logorare con gli anni, basta aggiungere al piatto dove è il nostro affanno una sofferenza fisica acquisita ed a cui si è permesso di aggravarsi; e, invece della soluzione coraggiosa che sarebbe prevalsa a venti anni, sarà l’altra soluzione, divenuta troppo pesante e senza un contrappeso sufficiente, ad avvilirci a cinquanta. Tanto più che le situazioni, pur ripetendosi, cambiano, ed è probabile che a metà o alla fine della vita si sia avuta per se stessi la funesta compiacenza di complicare l’amore con una parte di abitudine che l’adolescenza, trattenuta da altri doveri, meno libera di sé, non conosce. »

«Per il fatto di credere che la mia sofferenza non sarebbe durata, ero in un certo senso costretto a rinnovarla senza posa. La sofferenza era forse la stessa, ma, invece di limitarsi, come in passato, a prolungare uniformemente una emozione iniziale, ricominciava parecchie volte il giorno, esordendo con un’emozione rinnovata così di frequente che finiva – pur essendo uno stato tutto fisico, essenzialmente momentaneo – col diventare stabile, in modo che il turbamento causato dall’attesa aveva a malapena il tempo di calmarsi prima che una nuova ragione d’attendere sopravvenisse e non c’era più un solo minuto in cui io non fossi immerso in quell’ansia che pure è tanto difficile da sopportare per un’ora. Così la mia sofferenza era infinitamente più crudele che al tempo di quell’antico Capodanno, perchè questa volta c’era in me, invece dell’accettazione pura e semplice della sofferenza, la speranza, a ogni istante, di vederla cessare. All’accettazione finii tuttavia  per arrivare. »

«Quando, meglio che con le parole, con azioni indefinitamente ripetute, le avessi provato che non mi stava a cuore vederla, forse io le sarei stato di nuovo a cuore. Ahimé! Inutilmente: cercare, col non vederla più, di rianimare in lei il desiderio di vedermi, voleva dire perderla per sempre; prima di tutto, perché, quando quel desiderio fosse cominciato a rinascere in lei, se volevo che durasse avrei dovuto non cedergli subito; e d’altrone, le ore più crudeli sarebbero passate; ella mi era indispensabile in quel momento ed avrei voluto poterla avvertire che presto, rivedendomi, non avrebbe calmato che un dolore a tal punto diminuito da non essere più, come lo sarebbe stato ancora in quel momento, e se ella vi avesse messo fine, un motivo di capitolazione, una ragione per riconciliarci e rivederci. E più tardi, quando avrei potuto finalmente confessare senza pericolo a Gilberte, tanto la sua inclinazione per me avrebbe ripreso forza, la mia inclinazione per lei, questa non avrebbe potuto resistere ad un così lungo distacco e non sarebbe più esistita: Gilberte mi sarebbe divenuta indifferente. »

« La visione costante di quella felicità immaginaria mi aiutava a sopportare la distruzione della felicità reale. Con le donne che non ci amano, come con i “dispersi”, sapere che non si ha nulla da sperare non impedisce di continuare ad attendere. Si vive in agguato, in ascolto.»

«Quando si ama, l’amore è troppo grande perché possa trovar posto tutto quanto in noi; s’irradia verso la persona amata, incontra in lei una superficie che lo arresta, lo costringe a tornare verso il punto di partenza, e questo rimbalzo della nostra stessa tenerezza noi lo chiamiamo i sentimenti dell’altro, lo troviamo tanto più dolce di quanto fosse all’andata, perchè non sappiamo che proviene da noi. »

«Il rimpianto, infatti, come il desiderio, non cerca di analizzarsi, ma di soddisfarsi; quando si comincia ad amare si passa il tempo non a comprendere che cosa sia il nostro a more, ma  a preparare la possibilità dei convegni dell’indomani. Quando si rinuncia, si cerca non già di conoscere il proprio dolore, ma di offrirne, a colei che lo causa, l’espressione che ci sembra più tenera. Si dicono le cose che si prova il bisogno di dire e che l’altra non capirà, si parla solo per se stessi. Ioo scrivevo: “Credevo che non sarebbe stato possibile. Mi accorgo, ahimé, che non è poi tanto difficile”. Dicevo anche: “Probabilmente non vi vedrò più.”, lo dicevo continuando a guardarmi da una freddezza che lei avrebbe potuto credere simulata, e quelle parole, scrivendole, mi facevano piangere, perchè sentivo che esprimevano non quel che avrei voluto credere, ma ciò che sarebbe accaduto in realtà. Perchè alla prossima richiesta di appuntamento che Gilberte mi avrebbe fatto rivolgere, io avrei avuto ancora, come questa volta, il coraggio di non cedere, e, di rifiuto in rifiuto, sarei giunto a poco a poco al momento in cui, a forza di non averla più vista, non avrei desiderato più di vederla. Piangevo, ma trovavo il coraggio, assaporavo la dolcezza, di sacrificare la felicità d’esserle accanto alla possibilità di esserle un giorno gradito, un giorno in cui, ahimé, riuscirle gradito mi sarebbe stato indifferente. La stessa ipotesi, pur così verosimile, che in quel momento, come lei aveva sostenuto durante l’ultima visita che le avevo fatto, Gilberte mi amasse, che ciò ch0io prendevo per il fastidio che si prova vicino a qualcuno di cui si è stanchi fosse dovuto soltanto ad una suscettibilità gelosa, ad una finta indifferenza analoga alla mia, questa stessa ipotesi non faeva che rendere meno crudele la mia risoluzione. Mi sembrava allora che entro qualche anno, dopo che ci saremmo dimenticati l’uno dell’altra, quando avrei potuto dirle retrospettivamente come quella lettera che in quel momento le stavo scrivendo non fosse stata affatto sincera, ella mi avrebbe risposto: - Ma come, mi amavate? Se sapeste come l’aspettavo, quella lettera, come speravo in un appuntamento, come mi faceste piangere! – Mentre ero intento a scriverle, appena di ritorno da sua madre, il pensiero che forse stavo commettendo proprio un simile malinteso, quel pensiero, per la sua stessa tristezza, per il piacere d’immaginare che ero amato da Gilberte, mi spingeva a continuare la mia lettera. »

«Si può ben amare il veleno che ci fa soffrire: quando qualche necessità ce ne priva già da qualche tempo, non si può non attribuire un certo pregio alla quiete a cui non si era più avvezzi, all’assenza di emozioni e di sofferenze. Se non siamo del tutto sinceri quando ci diciamo che non vorremmo mai rivedere l’essere amato, non saremmo neppure tali se si dicesse che vogliamo rivederlo. Non c’è dubbio, infatti, che si può sopportare la sua assenza solo promettendosela breve, pensando al giorno in cui lo rivedremo; ma d’altra parte, sentiamo fino a qual punto questi sogni quotidiani d’un ricongiungimento prossimo e sempre rinviato siano meno dolorosi di un incontro cui probabilmente farebbe seguito la gelosia: di modo che la notizia che si sta per rivedere l’essere amato darebbe una commozione poco piacevole. Quel che ora si rimanda di giorno in giorno non è più la fine dell’intollerabile ansia causata dalla separazione, è il temuto ricominciare di emozioni da cui non c’è scampo. Ad un simile incontro si preferisce il ricordo docile, - che completiamo a piacer nostro di fantasticherie, dove colei che in realtà non ci ama ci fa invece delle dichiarazioni; il ricordo che, mischiandovi a poco a poco molto di quel che si desidera, si può render dolce quanto si vuole, si preferisce all’incontro rinviato in cui si avrebbe a che fare con un essere al quale non detteremmo più a piacer nostro le parole desiderate, ma di cui subiremmo le rinnovate freddezze, le violenze inattese. Sappiamo tutti quando non amiamo più, che l’oblio, e anche il ricordo vago, non cagionano tante sofferenze quanto l’amore infelice. Era d’un simile oblio anticipato ch’io preferivo, senza confessarmelo, la riposante dolcezza.

D’altronde, quel tanto di doloroso che può avere una simile cura di distacco psichico e d’isolamento va diminuendo sempre più per un altro motivo: perchè indebolisce, in attesa di guarirla, quell’idea fissa che è un amore. [...] La rassegnazione, modalità dell’abitudine, permette a certe forze di accrescersi indebitamente. Quelle che io possedevo in misura tanto ridotta per sopportare il mio dolore, la prima sera della rottura con Gilberte, erano state portate col tempo ad una potenza incalcolabile. Soltanto, la tendenza di tutto ciò che esiste a prolungarsi, è talvolta troncata da impulsi improvvisi ai quali ci abbandoniamo con tanto meno scrupolo, in quanto sappiamo per quanti giorni, per quanti mesi, abbiamo potuto, ancora potremmo privarci. E spesso, proprio quando la borsa in cui si accumulava il nostro risparmio sta per essere colma, proprio allora la vuotiamo di colpo, smettiamo la cura senza attenderne il risultato, e quando già ci siamo abituati ad essa.»

«A causa di ciò che si ama e che un giorno ci sarà indifferente, si rifiuta con sdegno di vedere ciò che oggi ci è indifferente, che domani ameremo, che forse, se avessimo consentito a vederlo, si sarebbe potuto amar prima, ed avrebbe così abbreviato le nostre sofferenze presenti, per sostituirle, è vero con altre.  »

«La lontananza può essere efficace. Il desiderio, la voglia di rivederci, finiscono col rinascere nel cuore che attualmente ci disconosce. Soltanto, ci vuole del tempo. E le nostre esigenze riguardo al tempo non sono meno esorbitanti di quelle avanzate dal cuore per mutare. Anzitutto, il tempo è proprio ciò che accordiamo meno facilmente, perchè la nostra sofferenza è crudele e siamo ansiosi di vederne la fine. Inoltre, del tempo di cui l’altro cuore avrà bisogno per mutare, il nostro si servirà per mutare anch’esso, dimodoché, quando lo scopo propostoci diventerà accessibile, che non c’è felicità a cui, quando non sarà più per noi una felicità, non finiremo col giungere, una simimle idea importa una parte, ma solo una parte di verità. La felicità ci coglie quando ci è divenuta indifferente. Ma precisamente quasta indifferenza ci ha resi meno esigenti e ci consente di credere retrospettivamente che quel bene ci avrebbe resi felici in un tempo in cui forse ci sarebbe sembrato molto incompleto. Non siamo molto difficili né molto buoni giudici riguardo alle cose che non ci stanno a cuore. L’amabilità di un essere che non amiamo più, e che sembra ancora eccessiva alla nostra indifferenza, probabilmente sarebbe stata molto lontana dal bastare al nostro amore. Quelle parole tenere, quell’offerta d’un convegno, pensiamo al piacere che ci avrebbero dato, e non a tutte le parole, a tutte le offerte da cui avremmo voluto vederle immediatamente seguite e che tale avidità forse avrebbe impedito s’avverassero. Sicché nulla assicura che la felicità sopravvenuta troppo tardi, quando non se ne può più godere, quando non si ama più, sia proprio la stessa la cui mancanza ci rese tanto infelici in passato. Una sola persona potrebbe deciderlo, in nostro “io” di allora; ma non c’è più; e senza dubbio basterebbe che ritornasse perché, identica oo no, la felicità svanisse. »

«Finché il nostro cuore racchiude in modo permanente l’imagine di un altro essere, non è solo la nostra felicità che può essere ad ogni momento distrutta; ma, quando tale felicità è svanita, quando abbiamo sofferto, e poi siamo riusciti ad addormentare a nostra sofferenza, non meno illusoria e precaria della felicità è la nostra calma. [...] D’altronde chi soffre per amore è, come si dice di certi ammalati, il medico di se stesso. Siccome può ricevere consolazione solamente dalla persona che è causa del suo dolore, e di cui quel dolore è un’emanazione, proprio in esso finisce col trovare un rimedio. Un rimedio che a un certo momento il dolore stesso gli scopre. Perché, man mano che egli lo rimugina dentro di sé, il dolore mostra un aspetto nuovo della persona rimpianta, a volte così odioso che non si ha più neppure il desiderio di rivederla, perchè prima di poter provare il piacere di star con lei bisognerebbe farla soffrire, a volte così dolce che questa dolcezza che le attribuiamo le si fa un merito e si ritrae un motivo di speranza. [...] Prima di tutto, in coloro che amano e sono abbandonati, il sentimento d’attesa – sia pure d’attesa inconfessata – in cui vivono e si trasforma da sé, e benché in apparenza identico, ad un primo stato da succedere un secondo esattamente contrario. Il primo era la conseguenza, il riflesso degli incidenti dolorosi che ci avevano sconvolti. L’attesa di ciò che potrebbe accadere è mista di spavento, tanto più che desideriamo in quel momento, se nulla di nuovo ci viene da parte di colei che amiamo, agire noi stessi, e non sappiamo bene quale sarà il risultato d’un passo dopo il quale forse non sarà più possibile tentarne altri. Ma presto, senza che ce ne rendiamo conto, la nostra attesa, che continua, è determinata, l’abbiamo veduto, non più dal ricordo del passato che si è subito, ma dalla speranza d’un avvenire immaginario. Da allora in poi, essa è quasi piacevole. Inoltre, nel corso della sua prima fase, ci siamo abituati a vivere nell’aspettativa. La sofferenza che abbiam provata durante i nostri ultimi convegni sopravvive tuttora dentro di noi, ma già assopita. Non abbiamo troppa premura di rinnovarla, tanto più che non vediamo bene che cosa orami chiederemmo. Il possesso un poco più ampio della donna mata non farebbe che renderci più necessario quel che non possediamo, e che resterebbe, nonostante tutto, nascendo i nostri bisogni dalle nostre soddisfazioni, qualcosa d’irriducibile.»

«Certi stati di coscienza, a cui l’essere amato rimane estraneo, occupano allora un posto che, per quanto piccolo sia da principio, è tanto di sottratto all’amore che occupava l’animo per intero. Bisogna cercare di nutrire, di fare crescere quei pensieri, mentre declina il sentimento che non è più se non un ricordo, in modo che i nuovi elementi introdotti nello spirito gli disputino, gli strappino una porzione sempre più grande dell’animo, e finalmente glielo tolgano tutto. Io mi rendevo conto che era la sola maniera di uccidere un amore, ed ero ancora abbastanza giovine, abbastanza coraggioso per tentare di farlo, per assumere il più crudele dei dolori, quello che nasce dalla certezza che, per quanto lungo possa essere il tempo che impiegheremo, vi si riuscirà. »

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