«Mihi vindicta: ego retribuam»
«In Anna Karenina è rappresentata
la colpa come ostacolo, anzi come barriera invalicabile al raggiungimento della
felicità. Per questo Anna e a Vronskij non possono essere felici insieme.
Prima di incontrare Vronskij, Anna era una donna calma e lieta, che dava
fiducia e pace a chiunque l’avvicinasse; ella si credeva contenta del proprio
destino: la sua vita si svolgeva tranquilla nelle cure domestiche e mondane,
ella aveva un figlio che amava, un marito di cui aveva stima, e non chiedeva
nulla di più. Ma dopo l’incontro con Vronskij questa sua apparente sicurezza e
chiarezza interiore viene meno: ella si rende conto d’improvviso del pauroso
vuoto che ha intorno. [...] Tuttavia nella sua vita con Vronskij, Anna non
prova rimpianto per la sua vita passata, apparentemente così felice e paga;
perchè avendo oramai conosciuto l’amore, quella felicità di allora le appare
artificiosa e vuota; poche ora prima di uccidersi, ella rammenta i propri
rapporti con il marito, che anche quelli si chiamavano amore, rivede gli occhi
spenti di lui e le mani dalle vene turchine, e ne ha un brivido di disgusto.
Così Anna Karenina muore a mani vuote: ella non ha conquistato nulla, non ha
capito nulla. Ma anche Vronskij, come Anna, non capisce e non conquista nulla:
e quando dopo la morte di Anna parte volontario contro i Turchi, anche questo
per lui non significa nulla, non è che un mezzo per sfuggire al ricordo del
corpo insanguinato di Anna».
Il Romanzo
«Tutte
le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice
a suo modo».
Il romanzo inizia presentando la figura di Stepan Arkad'ič Oblonskij
("Stiva"), un ufficiale civile che ha tradito la moglie Dar'ja
Aleksandrovna ("Dolly"). La vicenda di Stiva mostra la sua
personalità passionale che sembra non poter essere repressa. Per questa
ragione, Anna Karenina, la sorella sposata di Stiva, che vive a San
Pietroburgo, viene chiamata da Stiva per persuadere Dolly a non lasciarlo. Nel
frattempo, un amico di infanzia di Stiva, un serio aristocratico che vive in
una tenuta che gestisce lui stesso, Konstantin Dmitrič Levin, arriva a Mosca
per chiedere la mano della sorella minore di Dolly. Kitty rifiuta, poichè
aspetta una proposta di matrimonio dall'ufficiale dell'esercito Aleksej
Kirillovič Vronskij. Ma Vronskij si infatua di Anna ed Anna, scossa dalla
propria reazione alle attenzioni di Vronskij, ritorna immediatamente a San
Pietroburgo, da suo marito Aleksei Aleksandrovič Karenin, un ufficiale
governativo, e da suo figlio Serëža. Vronskij, perdutamente innamorato, la
segue sullo stesso treno.
A San Pietroburgo Anna cede alla propria passione per Vronskij e rimane
incinta. Quando Vronskij cade da cavallo durante una gara, l'angoscia provata
da Anna rende palesi i suoi sentimenti al marito, per cui si vede costretta a
confessargli la relazione. Karenin, rifiutando di separarsi da Anna, la mette
in una situazione molto frustrante, minacciandola di non lasciarle più vedere
Serëža, nel caso se ne vada con Vronskij o commetta dei passi falsi.
Karenin inizia a trovare la situazione intollerabile e comincia a valutare
la possibilità di divorziare, ma cambia idea dopo aver saputo che Anna sta
morendo per complicazioni dovute al parto. Al suo capezzale, Karenin perdona
Vronskij, che cerca di suicidarsi per il rimorso. Anna comunque migliora, e
decide con Vronskij di partire per l'Europa, senza aver ottenuto il divorzio.
In Europa, Vronskij e Anna fanno molta fatica a trovare degli amici che li
accettino, continuando a dedicarsi a passatempi, finché non tornano in Russia.
Karenin è consolato e influenzato dalla contessa Lidija Ivanovna, di lui
innamorata, entusiasta della religione e delle credenze mistiche di moda nelle
classi sociali più elevate, che gli consiglia di tenere Serëža lontano dalla
madre. Anna riesce lo stesso a fai visita al figlio il giorno del suo
compleanno, ma è scoperta da Karenin, che aveva detto a Serëža che Anna era
morta. Poco dopo, lei e Vronskij partono per la campagna.
Vronskij cerca di convincere Anna a chiedere il divorzio a Karenin e solo
quando Vronskij parte per alcuni giorni, la noia e il sospetto convincono Anna
della necessità di un matrimonio con lui: scrive a Karenin e parte con Vronskij
per Mosca.
All’ennesimo rifiuto del divorzio da parte del marito, la relazione tra
Anna e Vronskij inizia ad essere sempre più tesa, dominata dal risentimento
provocato da un'ingiustificata ed esasperata gelosia da parte della donna. I
due decidono di tornare in campagna, ma Anna, mentre Vronskij si trova fuori,
in un uno stato di forte confusione e di avversione verso tutto ciò che la
circonda, si suicida lanciandosi sotto un treno.
L’altra coppia che sale sul palco di questo bellissimo romanzo, Kitty e
Levin, vive una esistenza parallela a quella di Anna e Vronskij, fatta di
piccole cose normali, dell’accettazione della realtà di ogni giorno, delle
piccole gioie e dei piccoli dolori. Eppure le pagine che toccano nel profondo,
restano indiscutibilmente quelle dell’amore tormentato di Anna e Vronskij.
Stralci d’autore
Tutta la varietà, tutta la delizia, tutta la bellezza della vita è composta
d’ombra e di luce.
Col tatto abituale dell’uomo di mondo, da una sola occhiata all’aspetto
esteriore di questa signora Vronskij giudicò in modo certo ch’ella apparteneva
all’alta società. Egli si scusò e stava per andare nella vettura, ma provò la
necessità di guardarla ancora una volta, non perchè ella fosse molto bella, non
per quell’eleganza e quella grazia modesta che si vedevano in tutta la sua persona,
ma perchè nell’espressione del volto leggiadro, quand’ella gli era passata
vicino, c’era qualcosa di particolarmente carezzevole e tenero. Quand’egli si
volse a guardarla, ella pure voltò il capo. Gli scintillanti occhi grigi, che
sembravano neri per le ciglia folte, si fermarono amichevolmente, con
attenzione, sul volto di lui, come se ella lo riconoscesse, e immediatamente si
portarono sulla folla che passava, come cercando qualcuno. In questo breve
sguardo Vronskij fece a tempo a notare l’animazione rattenuta che balenava sul
volto di lei e svolazzava tra gli occhi scintillanti ed il sorriso appena
percettibile, che incurvava le sue labbra vermiglie. Come se un’abbondanza di
qualcosa colmasse talmente il suo essere, da esprimersi all’infuori della sua
volontà ora nello scintillio dello sguardo, ora nel sorriso. Ella aveva spento
deliberatamente quella luce nei suoi occhi, ma essa splendeva a suo malgrado
nel sorriso appena percettibile.
Ella si volse a guardarle e in quello stesso momento riconobbe il volto di
Vrònskij. [...] Ma ora, nel primo attimo dell’incontro con lui, la prese un
sentimento di orgoglio gioioso. Non aveva bisogno di domandare perchè egli
fosse lì. Lo sapeva con altrettanta certezza come se egli le avesse detto che
era lì per essere dov’era lei. «Non sapevo che foste in viaggio anche voi.
Perchè siete in viaggio?» ella disse, abbassando la mano con cui stava per
aggrapparsi alla colonnina. E un’incontenibile gioia e animazione splendeva sul
su volto. «Perchè sono in viaggio?» egli ripeté, guardandola proprio negli
occhi. «Lo sapete, sono in viaggio per essere là dove siete voi» diss’egli «non
posso altrimenti». [...] Egli aveva detto proprio quello che desiderava l’anima
di lei, ma che ella temeva con la sua ragione. Ella non rispondeva nulla, e sul
suo volto egli vedeva la lotta.[...] Il
senso d’irragionevole vergogna, che ella aveva provato in viaggio e
l’agitazione erano scomparsi completamente. Nelle condizioni abituali di vita
ella si sentiva di nuovo ferma e irreprensibile. [...] Il fuoco sembrava spento
in lei o nascosto in qualche luogo lontano.
Nei primi tempi Anna credeva sinceramente d’esser malcontenta di lui perchè
egli si permetteva di perseguitarla; ma poco dopo il suo ritorno da Mosca,
venuta a una serata dove pensava di incontrarlo, e lui non c’era, dalla
tristezza che s’impadronì di lei capì chiaramente che ingannava se stessa, che
quella persecuzione non solo non le era spiacevole, ma che essa formava tutto
l’interesse della sua vita.
«Non sapete forse voi che siete tutta la vita per me? Ma la tranquillità io
non la conosco e non ve la posso dare. Tutto me stesso, l’amore... sì. Non
posso pensare a voi e a me stesso separatamente. Voi e io per me siamo una sola
cosa. E io non vedo per l’innanzi la possibilità della tranquillità, nè per me
stesso, nè per voi. Io vedo la possibilità della disperazione, della
sventura... o vedo la possibilità della felicità, di che felicità!... E’ forse
impossibile?» egli soggiunse con le sole labbra, ma ella sentì. Ella tese tutte
le forze della sua intelligenza per dir quello che bisognava; ma invece di
questo ella fermò su di lui il suo sguardo pieno d’amore, e non rispose nulla.
“Ecco! – egli pensava con entusiasmo – Quando io mi disperavo già e quando
sembrava che non sarebbe venuta una fine, ecco! Ella mia ama. Lo confessa!”.
«Allora fate questo per me, non ditemi mai queste parole, e siamo buoni amici –
ella disse con le parole» ma il suo
sguardo diceva tutta un’altra cosa. «Amici non saremo, questo lo sapete da voi.
E se saremo le più felici o le più infelici delle persone, questo è in poter
vostro.». Ella voleva dire qualcosa, ma egli l’interruppe: «Perchè io chiedo
una sola cosa: chiedo il diritto di sperare, di tormentarmi, come ora; ma se
anche questo non si può, ordimnatemi di scomparire, e io scomparirò. Non mi
vedrete, se la mia presenza è penosa.» «Io non voglio scacciarvi in nessun
modo.» «Soltanto non cambiate nulla. Lasciate tutto come è » egli disse con voce
tremante «Ecco vostro marito.» [...] «Voi, mettiamo, non avete detto nulla, io
non pretendo neppure nulla – egli diceva – ma voi sapete che non è l’amicizia
di cui ho bisogno, che per me è possibile una sola felicità nella vita, quella
parola che amate così poco... sì, l’amore...» «L’amore – ella ripeté lentamente
con una voce interiore e a un tratto, nello stesso momento in cui staccò il
pizzo, soggiunse – io non amo questa parola appunto perchè essa per me ha un
significato troppo grande, molto più grande di quel che voi possiate capire, -
ed ella lo guardò in viso – A rivederci!»
Ella si sentiva criminosa e colpevole, che non le rimaneva se non umiliarsi
e domandar perdono; e nella vita adesso, all’infuori di lui, ella non aveva
nessuno, così ch rivolgeva appunto a lui la sua preghiera di essere perdonata.
Ella, guardandolo, sentiva fisicamente la sua umiliazione e non poteva più dir
nulla. Egli invece sentiva quel che deve sentire un assassino quando vede il
corpo privato della vita da lui. Questo corpo privato della vita da lui era il
loro amore, il primo periodo del loro amore. C’era qualcosa di orribile e di
ripugnante nei ricordi di quello per cui era stato pagato questo terribile
prezzo di vergogna. La vergogna dinanzi alla propria nudità spirituale, la
soffocava e si comunicava a lui. Ma malgrado tutto l’orrore dell’assassino
dinanzi al corpo, bisogna approfittare di quel che l’assassino ha acquistato
con l’assassinio. E l’assassino si getta su questo corpo con rabbia, si direbbe
con passioe, e lo trascina, e lo taglia; così anche lui copriva di baci il
volto e le spalle di lei. Ella gli teneva una mano e non si muoveva. Sì, questi
baci son quello che s’è comprato con questa vergogna. Sì, e questa mano, che
sarà sempre mia, è la mano del mio complice. Ella sollevò quella mano e la
baciò. Egli si abbassò sui ginocchi e voleva vederle il volto, ma ella lo
nascondeva e non diceva nulla.
Egli sentiva tutto il tormento della sua situazione e di quella di lei,
tutta la difficoltà in cui si trovavano, esposti com’erano agli occhi di tutta
la società, di nascondere il proprio amore, mentire, ingannare, e mentire,
ingannare, usare astuzia e pensare continuamente agli altri allorquando la loro
passione era tanto forte, che tutt’e due dimenticavano tutto il resto, eccetto
il proprio amore. [...] E per la prima volta gli venne in mente il pensiero che
era indispensabile far cessare quella menzogna, e quanto più presto tanto
meglio sarebbe stato.
«Sono incinta» ella disse piano e adagio. [...] Egli impallidì, volle dire qualcosa
ma si fermò, lasciò andare la mano di lei e chinò il capo. «Sì, egli ha capito
tutto il significato di questo avvenimento» ella pensò e gli strinse la mano
con riconoscenza. [Diss’egli] «Né io nè
voi abiamo mai considerato i nostri rapporti come un giocattolo e ora la nostra
sorte è decisa. E’ indispensabile por fine, - egli disse, volgendosi indietro –
alla menzogna in cui viviamo». «Por fine? E come por fine, Aleksjéi?» diss’egli
piano. Ella s’era calmata adesso, e il suo volto splendeva di un tenero
sorriso. «Lasciare vostro marito e unire la nostra vita» «Essa è unita anche
così» rispose ella appena udibilmente. «Sì, ma del tutto, del tutto [...] come hai potuto sacrificare tutto per me? Io
non posso perdonarmi che tu sia infelice.»«Io infelice? – ella disse
avvicinandosi a lui e guardandolo con un entusiastico sorriso d’amore – io son
come una persona affamata cui abbiamo dato da mangiare. Forse ha freddo, ha il
vestito rotto, e si vergogna, ma non è infelice.[...] Devi capire che per me
dal giorno che ho cominciato ad amarti tutto s’è mutato. Per me c’è una cosa
sola: è il tuo amore. Se esso è mio, mi sento allora così in alto, così calda,
che nulla per me può essere umiliante.»
“Il mio amore si fa sempre più appassionato ed egoistico, e il suo non fa
che spegnersi, ed ecco perchè ci dividiamo, - ella seguitò a pensare. – E porvi
rimedio non si può. Io ho tutto lui solo, e pretendo ch’egli mi si abbandoni
sempre più. E lui sempre di più vuole allontanarsi da me. Noi ci siamo appunto
andati incontro prima della relazione, e ora ci dividiamo andando irresistibilmente
da parti diverse. E mutare questo non si può. [...] Se lui, senza amarmi sarà
buono, tenero con me per dovere, e non ci sarà quello che io voglio, - ma è
mille volte peggio perfino del risentimento! E’ un inferno! Ed è appunto così.
Lui non mi ama già da un pezzo. E dove finisce l’amore, là comincia l’odio...
Queste strade non le conosco affatto. [...] Noi siamo separati dalla vita, e io
faccio la sua infelicità, lui la mia, e non si può rifare nè lui, nè me. Tutti
i tentativi sono stati fatti, la vite s’è svitata...”
«La ragione è data all’uomo per liberarsi da quello che lo inquieta» disse
in francese la signora. “Liberarsi da quello che inquieta – ripeté Anna – Sì,
mi inquieta molto e la ragione è data per liberarsene; perciò bisogna
liberarsene. E perchè non spegnere la candela, quando non c’è più nulla da
guardare, quando fa schifo guardare tutto questo? Ma come?” E a un tratto,
essendosi ricordata dell’uomo schiacciato il giorno del suo primo incontro con
Vrònskij, ella capì quel che doveva fare. Dopo essere scesa con un passo
veloce, leggero per i gradini che andavano dalla pompa alle rotaie, si fermò
accanto al treno che le passava vicinissimo. Ella guardava il basso dei
carrozzoni, le viti e le catene e le alte ruote di ghisa del primo carrozzone
che scivolava lentamente e cercava di stabilire a occhio il punto di mezzo fra
le ruote anteriori e le posteriori e il momento quando questo punto di mezzo
sarebbe stato di fronte a lei. [...] Ed esattamente nel momento in cui il
tratto di mezzo fra le ruote giunse alla sua altezza, ella gettò indietro il
sacchetto rosso e con un movimento leggero, come preparandosi ad alzarsi
subito, si lasciò cadere in ginocchio. E in quell’attimo stesso inorridì di
quel che faceva. “Dove sono? Che faccio? Perchè?” Voleva sollevarsi piegarsi
all’indietro, ma ualcosa di enorme, d’inesorabile le dette una spinta nel capo
e la trascinò per la schiena. “Signore, perdonami tutto!” ella proferì,
sentendo l’impossibilità della lotta. Un mužicjòk
dicendo intanto qualcosa, lavorava su del ferro. E la candela con la quale ella
leggeva il libro pieno di ansie, di inganni, di dolore e di male, s’infiammò d’una
luce più vivida che non mai, le illuminò tutto quello che prima era nelle
tenebre, scoppiettò cominciò a oscurarsi e si spense per sempre.
:)
RispondiElimina:)
RispondiEliminaI scintillanti occhi? Ma chi è il traduttore, un milanese? In italiano per ora si dice ancora gli scintillanti occhi
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