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26 gen 2013

Medea [Euripide]

E capisco quali mali dovrò sostenere, ma più forte dei miei propositi è la passione, la quale è per gli uomini causa dei più grandi mali

Due lezioni del Prof.Fumagalli, Liceo Beccaria/Milano, 20 Maggio 2011

Medea è un “nome parlante”: la radice med- è presente in tutta l’area indoeuropea (cfr. latino “medicus”); in greco, in particolare, è da riconnettere al verbo mèdomai (“immagino,invento, escogito”) e al neutro plurale tà mèdea (“astuzie, scaltrezze, preoccupazioni”), per cui potrebbe significare “colei che sa decidere per sé e per gli altri”, “colei che porta consiglio”.

Nella “Medea” non compaiono divinità. L’azione segue il corso delle passioni della protagonista, una delle più grandi figure del teatro di tutti i tempi, la cui personalità domina la scena dal principio alla fine. Medea è giunta in Grecia, a Corinto, con Giàsone e i figli nati dal loro matrimonio, dopo averlo aiutato con le sue arti di maga ad impossessarsi del vello d’oro (ma il mito degli Argonauti bisogno conoscerlo). Ma ora Giàsone la vuole abbandonare, allettato dall’idea di sposare la figlia del re della città, Creonte. L’azione scenica ha inizio dopo che il nuovo matrimonio è già stato celebrato.

La storia

Medea, barbara, maga, straniera che non è riuscita ad integrarsi nell’ambiente che la ospita, è disperata e furibonda per il tradimento di Giasone. Consapevole che fra lei e l’ex marito si è creato un abisso incolmabile, medita una vendetta tremenda. Quando Creonte la bandisce dalla città , ottiene subdolamente di rimanere un altro giorno: dopo aver violentemente rinfacciato a Giasone la sua ipocrisia e il suo egoismo, la sua viltà e la sua ingratitudine; dopo aver ottenuto da Egeo (che si trova a Corinto di passaggio) di essere in futuro ospitata ad Atene, finge di riappacificarsi con Giasone e, per mezzo dei figli, invia alla novella sposa una veste e una corona in dono. Ma gli oggetti sono intrisi di veleno e la giovane regina viene immediatamente avvinta dalle fiamme, e con lei il padre Creonte che tenta di salvarla. Poi, in un crescendo di crudeltà, dopo un angoscioso soliloquio (leggere bene!), nel corso del quale il suo feroce proposito per ben due volte vacilla, uccide con le proprie mani anche i figli. Giasone, saputa la notizia, accorre: impreca, piange, supplica di poter baciare per l’ultima volta i propri figli. Invano. Medea lo lascia annientato dal dolore, allontanandosi sul carro del Sole (finale volutamente ambiguo e variamente interpretato: il trionfo di Medea, magari salvata dalla divinità? Oppure Euripide ha voluto lasciare allo spettatore la libertà di interpretazione?).


La storia della tragedia

Rappresentata alle Grandi Dionisie nel 431, la tragedia ottenne solo il terzo posto. D’altra parte, il pubblico della pur democratica Atene, non poteva non rimanere sconvolto dalla ferocia di Medea. Il tempo consacrerà la tragedia: Apollonio Rodio, (poeta ellenistico che, in contrapposizione con Callimaco,tentò l’esperimento del “grande libro”,nato intorno al 290 e morto a tarda età),nelle “Argonautiche”, riprenderà la saga di Giasone e degli Argonauti e la sua Medea ricorderà la giovane Nusicaa,e sarà soprattutto il modello letterario per la Didone di Virgilio), Ennio, Pacuvio, Accio,Ovidio, Valerio Flacco riprenderanno il personaggio di Medea (in latino, ovviamente); dal Medioevo al tardo Rinascimento il mito sarà ripreso in continuazione, nel 1600 basta ricordare Corneille e Calderon de la Barca; nel 17OO Hoffman e Klinger, fino al ‘900, ai “Dialoghi con Leucò” di Cesare Pavese, alla “Lunga notte di Medea” di Corrado Alvaro, al film “Medea” di Pasolini e al grande romanzo di Christa Wolf, dal titolo “Medea”.

Analisi del personaggio.

Quello di Medea è un personaggio dalla ricchezza psicologica straordinaria. Basti pensare ad alcune situazioni: in apertura della tragedia, essa è un personaggio smarrito, irato,disperato; poco dopo riacquista il controllo,elabora in modo lucido il suo piano, analizza razionalmente le cause del suo soffrire (si noti bene che riflettere su se stessi si pone non come il superamento, ma come il realizzarsi stesso della sofferenza,come afferma V. Di Benedetto, nell’introduzione alla tragedia); simula la sottomissione alla decisioni di Creonte e Giasone, prende tempo, prepara in modo astuto la fuga convincendo Egeo ad ospitarla; in seguito la sua personalità si scinde fra amore materno e desiderio di vendetta, finchè, con piena consapevolezza della protagonista, la passionalità prevale sugli affetti di madre; infine sembra tornare la donna selvaggia e orgogliosa che Giasone aveva conosciuto, quando,uccisi i figli,irride a un uomo affranto e distrutto.

A una prima superficiale lettura, “Medea” può apparire il dramma della gelosia di una donna abbandonata e tradita, quindi desiderosa di vendetta: per Giasone non ha esitato a tradire, a uccidere, a sacrificare ciò che aveva di più caro; sembrerebbe che gli stessi figli le siano cari perché sono il pegno dell’amore di lui, e li uccide per colpire Giasone nel modo più raffinato e più atroce. Certo, “Medea” è anche questo. Ma non solo. Il suo agire trova spiegazione nello smisurato senso dell’onore, nel desiderio di essere stimata, nel non voler essere motivo di riso per gli altri (quella che Dodds chiamava “civiltà della vergogna”). Né si può dimenticare che Medea è anche una straniera insofferente verso i condizionamenti della società in cui si è inserita: in questo senso, quello fra Giasone e Medea è uno scontro di culture, quella greca e quella barbara; quella maschile e quella femminile; quella della famiglia patriarcale e quella della passione; quella fra nòmos (la legge della città) e physis (la legge dei sentimenti):un dibattito, quest’ultimo, accesissimo nel V secolo.

La tragedia di Medea è dunque anche quella dell’esclusione del “diverso”, che è visto come portatore di disordine, e, dunque, come elemento da espellere dalla città (pharmakòs); ma nello stesso tempo la protagonista incarna la figura del vero intellettuale, libero da condizionamenti (lo stesso EURIPIDE?), che le mistificazioni della società (rappresentata da Giasone) non hanno ancora corrotto e, per questo, emarginato da una società che non accetta critiche alle proprie istituzioni.

Ma Medea è anche il simbolo della condizione femminile in un mondo che ha confinato la donna in una posizione subalterna e di inferiorità rispetto al maschio: essa ha, al contrario delle altre figure della tragedia greca, un’alta opinione di sé, uno smisurato orgoglio e una forte consapevolezza del proprio ruolo: nella solitudine troverà l’unica possibilità di autoaffermazione. Anche in questo caso, come sempre nel mondo tragico antico,l’eroe vive nell’isolamento e si misura con le sue decisioni, delle quali, alla fine, egli stesso sarà vittima: perché alla fine della tragedia, la vittoria di Medea su Giasone appare come la sconfitta del suo cuore, avvolto nell’angoscia; il suo trionfo è contemporaneamente la sua rovina. Forse Medea è, infine, l’umanità stessa, abbandonata dalla divinità, che diventa artefice del proprio destino: ma l’affermazione e la rivendicazione della propria individualità porta alla lontananza dal contesta sociale, all’estraniamento, alla solitudine, all’autodistruzione, in cui però l’individuo ritrova la propria dignità e la propria grandezza, che significa libertà di scelta e di azione, sia nel bene sia nel male.

ALTERNANZA DI PASSIONE E RAGIONE IN MEDEA di V. Di Benedetto (da “Euripide: teatro e società”,Torino 1971).

Le battute con cui Medea,dall’interno della casa,esprime con violenta passione il suo odio per Giasone si possono a buon diritto accostare,per l’ansia con cui la donna dà sfogo e per il modo di esprimersi,a quelle con cui, nella parte iniziale dell’”Ippolito”,Fedra dà sfogo alla sua delirante passione (…). In 96 sgg.,infatti, la donna dà sfogo alla sua rabbia e al suo dolore attraverso frasi rotte dall’emozione, nelle quali traspare con immediatezza l’estrema tensione interna del personaggio(…). Quando Medea accenna alla sua sciagura, lo fa in uno stile in cui l’enfasi è in funzione del pathos…in realtà Medea non riflette su ciò che le è successo, ma dà sfogo a desideri e stati d’animo emozionali, con uso frequente dell’ottativo, che dà l’idea dell’ossessivo bisogno che la donna sente di uscire dalla situazione in cui ella si sente costretta…

Subito dopo che la nutrice e il coro hanno commentato con commosse parole l’infelicità di Medea, la donna compare sulla scena….ella è una donna completamente diversa, che esordisce con un discorso volutamente “difficile” sulla vera e sulla falsa superbia e sulla necessità che uno straniero,soprattutto,si prenda cura di mantenere i contatti con la gente. Il discorso di Medea dei vv.214-66 è caratterizzato da una tendenza alla generalizzazione. Medea non esprime degli stati d’animo,ma le riflessioni sulla sua situazione,vista in una situazione più ampia e non puramente soggettiva….Certamente la lunga rhesis assolve alla funzione di accattivarsi la simpatia e il silenzio da parte del coro e ciò è effettivamente chiesto ai vv.259-263. Il discorso di Medea ai vv.214-263 ha un’impalcatura solida,che fa da sostegno a un pensiero che si sviluppa secondo una linea coerente dal principio alla fine….Lo stesso atteggiamento Medea mantiene durante il dialogo con Creonte. Costui osserva che ella è maggiormente da temere in quanto “saggia”,alludendo velatamente alla conoscenza delle arti magiche che si attribuiva a Medea. Rispondendo nei vv.292 sgg. A queste accuse, Medea prende le mosse da lontano. Ancora una volta ella pone il problema in una prospettiva più ampia…viene a parlare della sophia,intesa però in un senso più lato di come voleva intenderla Creonte; e ancora una volta le difficoltà in cui si è venuta a trovare vengono spiegate da Medea con considerazioni di ordine generale, nel senso che il “sapiente” in quanto tale ha vita difficile,perché agli altri sembra dire cose inutili e risulta odioso (si noti bene che nel colloquio fra Medea e Giasone nei vv.866 sgg., acquista grande importanza il sottile gioco linguistico che contrappone sophia e sophrosyne, entrambi derivanti dalla radice phren-: la straniera Medea è sapiente, l’integrato Giasone è saggio; per il vero sapiente è impossibile partecipare di una saggezza che porta con sé l’asservimento a una realtà giudicata negativamente). Appare dunque chiaro che il personaggio di Medea è strutturato, almeno fino a questa parte della tragedia,secondo un’articolazione interna che coincide nella sostanza che con quella di Fedra e Alcesti. Secondo lo stesso ritmo interno il rziocinio succede allo scoppio incontrollato della passione e anche in Medea il modo lucido e rigoroso con cui ella si esprime nel discorso alle donne del Coro e a Creonte appare inconciliabile con l’irrazionalità del suo sfogo all’interno della casa.

296-ss Se porgi agli stolti un nuovo sapere, sembrerai persona incapace certo non sapiente. Se, invece, sarai ritenuto superiore a coloro che hanno fama di possedere una cultura brillante, in città apparirai persona molesta.

1078-1080 E capisco quali mali dovrò sostenere, ma più forte dei miei propositi è la passione, la quale è per gli uomini causa dei più grandi mali

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