Due lezioni del Prof.Fumagalli, Liceo Beccaria/Milano, 20 Maggio 2011
Medea è un “nome parlante”: la radice med- è presente
in tutta l’area indoeuropea (cfr. latino “medicus”); in greco, in particolare,
è da riconnettere al verbo mèdomai (“immagino,invento, escogito”) e al neutro
plurale tà mèdea (“astuzie, scaltrezze, preoccupazioni”), per cui potrebbe
significare “colei che sa decidere per sé e per gli altri”, “colei che porta
consiglio”.
Nella “Medea” non compaiono divinità. L’azione segue
il corso delle passioni della protagonista, una delle più grandi figure del
teatro di tutti i tempi, la cui personalità domina la scena dal principio alla
fine. Medea è giunta in Grecia, a Corinto, con Giàsone e i figli nati dal loro
matrimonio, dopo averlo aiutato con le sue arti di maga ad impossessarsi del
vello d’oro (ma il mito degli Argonauti bisogno conoscerlo). Ma ora Giàsone la
vuole abbandonare, allettato dall’idea di sposare la figlia del re della città,
Creonte. L’azione scenica ha inizio dopo che il nuovo matrimonio è già stato
celebrato.
La storia
Medea, barbara, maga, straniera che non è riuscita ad
integrarsi nell’ambiente che la ospita, è disperata e furibonda per il
tradimento di Giasone. Consapevole che fra lei e l’ex marito si è creato un
abisso incolmabile, medita una vendetta tremenda. Quando Creonte la bandisce
dalla città , ottiene subdolamente di rimanere un altro giorno: dopo aver
violentemente rinfacciato a Giasone la sua ipocrisia e il suo egoismo, la sua
viltà e la sua ingratitudine; dopo aver ottenuto da Egeo (che si trova a
Corinto di passaggio) di essere in futuro ospitata ad Atene, finge di
riappacificarsi con Giasone e, per mezzo dei figli, invia alla novella sposa
una veste e una corona in dono. Ma gli oggetti sono intrisi di veleno e la
giovane regina viene immediatamente avvinta dalle fiamme, e con lei il padre
Creonte che tenta di salvarla. Poi, in un crescendo di crudeltà, dopo un
angoscioso soliloquio (leggere bene!), nel corso del quale il suo feroce
proposito per ben due volte vacilla, uccide con le proprie mani anche i figli.
Giasone, saputa la notizia, accorre: impreca, piange, supplica di poter baciare
per l’ultima volta i propri figli. Invano. Medea lo lascia annientato dal
dolore, allontanandosi sul carro del Sole (finale volutamente ambiguo e
variamente interpretato: il trionfo di Medea, magari salvata dalla divinità?
Oppure Euripide ha voluto lasciare allo spettatore la libertà di
interpretazione?).
La storia della tragedia
Rappresentata alle Grandi Dionisie nel 431, la
tragedia ottenne solo il terzo posto. D’altra parte, il pubblico della pur
democratica Atene, non poteva non rimanere sconvolto dalla ferocia di Medea. Il
tempo consacrerà la tragedia: Apollonio Rodio, (poeta ellenistico che, in
contrapposizione con Callimaco,tentò l’esperimento del “grande libro”,nato
intorno al 290 e morto a tarda età),nelle “Argonautiche”, riprenderà la saga di
Giasone e degli Argonauti e la sua Medea ricorderà la giovane Nusicaa,e sarà
soprattutto il modello letterario per la Didone di Virgilio), Ennio, Pacuvio,
Accio,Ovidio, Valerio Flacco riprenderanno il personaggio di Medea (in latino,
ovviamente); dal Medioevo al tardo Rinascimento il mito sarà ripreso in
continuazione, nel 1600 basta ricordare Corneille e Calderon de la Barca; nel
17OO Hoffman e Klinger, fino al ‘900, ai “Dialoghi con Leucò” di Cesare Pavese,
alla “Lunga notte di Medea” di Corrado Alvaro, al film “Medea” di Pasolini e al
grande romanzo di Christa Wolf, dal titolo “Medea”.
Analisi del personaggio.
Quello di Medea è un personaggio dalla ricchezza
psicologica straordinaria. Basti pensare ad alcune situazioni: in apertura
della tragedia, essa è un personaggio smarrito, irato,disperato; poco dopo
riacquista il controllo,elabora in modo lucido il suo piano, analizza
razionalmente le cause del suo soffrire (si noti bene che riflettere su se
stessi si pone non come il superamento, ma come il realizzarsi stesso della
sofferenza,come afferma V. Di Benedetto, nell’introduzione alla tragedia);
simula la sottomissione alla decisioni di Creonte e Giasone, prende tempo,
prepara in modo astuto la fuga convincendo Egeo ad ospitarla; in seguito la sua
personalità si scinde fra amore materno e desiderio di vendetta, finchè, con
piena consapevolezza della protagonista, la passionalità prevale sugli affetti
di madre; infine sembra tornare la donna selvaggia e orgogliosa che Giasone
aveva conosciuto, quando,uccisi i figli,irride a un uomo affranto e distrutto.
A una prima superficiale lettura, “Medea” può apparire
il dramma della gelosia di una donna abbandonata e tradita, quindi desiderosa
di vendetta: per Giasone non ha esitato a tradire, a uccidere, a sacrificare
ciò che aveva di più caro; sembrerebbe che gli stessi figli le siano cari
perché sono il pegno dell’amore di lui, e li uccide per colpire Giasone nel
modo più raffinato e più atroce. Certo, “Medea” è anche questo. Ma non solo. Il
suo agire trova spiegazione nello smisurato senso dell’onore, nel desiderio di
essere stimata, nel non voler essere motivo di riso per gli altri (quella che
Dodds chiamava “civiltà della vergogna”). Né si può dimenticare che Medea è
anche una straniera insofferente verso i condizionamenti della società in cui
si è inserita: in questo senso, quello fra Giasone e Medea è uno scontro di
culture, quella greca e quella barbara; quella maschile e quella femminile;
quella della famiglia patriarcale e quella della passione; quella fra nòmos (la
legge della città) e physis (la legge dei sentimenti):un dibattito,
quest’ultimo, accesissimo nel V secolo.
La tragedia di Medea è dunque anche quella
dell’esclusione del “diverso”, che è visto come portatore di disordine, e,
dunque, come elemento da espellere dalla città (pharmakòs); ma nello stesso
tempo la protagonista incarna la figura del vero intellettuale, libero da
condizionamenti (lo stesso EURIPIDE?), che le mistificazioni della società
(rappresentata da Giasone) non hanno ancora corrotto e, per questo, emarginato
da una società che non accetta critiche alle proprie istituzioni.
Ma Medea è anche il simbolo della condizione femminile
in un mondo che ha confinato la donna in una posizione subalterna e di
inferiorità rispetto al maschio: essa ha, al contrario delle altre figure della
tragedia greca, un’alta opinione di sé, uno smisurato orgoglio e una forte
consapevolezza del proprio ruolo: nella solitudine troverà l’unica possibilità
di autoaffermazione. Anche in questo caso, come sempre nel mondo tragico
antico,l’eroe vive nell’isolamento e si misura con le sue decisioni, delle
quali, alla fine, egli stesso sarà vittima: perché alla fine della tragedia, la
vittoria di Medea su Giasone appare come la sconfitta del suo cuore, avvolto
nell’angoscia; il suo trionfo è contemporaneamente la sua rovina. Forse Medea
è, infine, l’umanità stessa, abbandonata dalla divinità, che diventa artefice
del proprio destino: ma l’affermazione e la rivendicazione della propria
individualità porta alla lontananza dal contesta sociale, all’estraniamento,
alla solitudine, all’autodistruzione, in cui però l’individuo ritrova la propria
dignità e la propria grandezza, che significa libertà di scelta e di azione,
sia nel bene sia nel male.
ALTERNANZA DI PASSIONE E
RAGIONE IN MEDEA di V. Di Benedetto (da “Euripide: teatro e
società”,Torino 1971).
Le battute con cui Medea,dall’interno della
casa,esprime con violenta passione il suo odio per Giasone si possono a buon
diritto accostare,per l’ansia con cui la donna dà sfogo e per il modo di
esprimersi,a quelle con cui, nella parte iniziale dell’”Ippolito”,Fedra dà
sfogo alla sua delirante passione (…). In 96 sgg.,infatti, la donna dà sfogo
alla sua rabbia e al suo dolore attraverso frasi rotte dall’emozione, nelle
quali traspare con immediatezza l’estrema tensione interna del personaggio(…).
Quando Medea accenna alla sua sciagura, lo fa in uno stile in cui l’enfasi è in
funzione del pathos…in realtà Medea non riflette su ciò che le è successo, ma
dà sfogo a desideri e stati d’animo emozionali, con uso frequente
dell’ottativo, che dà l’idea dell’ossessivo bisogno che la donna sente di
uscire dalla situazione in cui ella si sente costretta…
Subito dopo che la nutrice e il coro hanno commentato
con commosse parole l’infelicità di Medea, la donna compare sulla scena….ella è
una donna completamente diversa, che esordisce con un discorso volutamente
“difficile” sulla vera e sulla falsa superbia e sulla necessità che uno
straniero,soprattutto,si prenda cura di mantenere i contatti con la gente. Il
discorso di Medea dei vv.214-66 è caratterizzato da una tendenza alla
generalizzazione. Medea non esprime degli stati d’animo,ma le riflessioni sulla
sua situazione,vista in una situazione più ampia e non puramente
soggettiva….Certamente la lunga rhesis assolve alla funzione di accattivarsi la
simpatia e il silenzio da parte del coro e ciò è effettivamente chiesto ai
vv.259-263. Il discorso di Medea ai vv.214-263 ha un’impalcatura solida,che fa
da sostegno a un pensiero che si sviluppa secondo una linea coerente dal
principio alla fine….Lo stesso atteggiamento Medea mantiene durante il dialogo
con Creonte. Costui osserva che ella è maggiormente da temere in quanto
“saggia”,alludendo velatamente alla conoscenza delle arti magiche che si
attribuiva a Medea. Rispondendo nei vv.292 sgg. A queste accuse, Medea prende
le mosse da lontano. Ancora una volta ella pone il problema in una prospettiva
più ampia…viene a parlare della sophia,intesa però in un senso più lato di come
voleva intenderla Creonte; e ancora una volta le difficoltà in cui si è venuta
a trovare vengono spiegate da Medea con considerazioni di ordine generale, nel
senso che il “sapiente” in quanto tale ha vita difficile,perché agli altri
sembra dire cose inutili e risulta odioso (si noti bene che nel colloquio fra
Medea e Giasone nei vv.866 sgg., acquista grande importanza il sottile gioco
linguistico che contrappone sophia e sophrosyne, entrambi derivanti dalla
radice phren-: la straniera Medea è sapiente, l’integrato Giasone è saggio; per
il vero sapiente è impossibile partecipare di una saggezza che porta con sé l’asservimento
a una realtà giudicata negativamente). Appare dunque chiaro che il personaggio
di Medea è strutturato, almeno fino a questa parte della tragedia,secondo
un’articolazione interna che coincide nella sostanza che con quella di Fedra e
Alcesti. Secondo lo stesso ritmo interno il rziocinio succede allo scoppio
incontrollato della passione e anche in Medea il modo lucido e rigoroso con cui
ella si esprime nel discorso alle donne del Coro e a Creonte appare
inconciliabile con l’irrazionalità del suo sfogo all’interno della casa.
296-ss Se porgi agli stolti un nuovo sapere, sembrerai persona incapace certo non sapiente. Se, invece, sarai ritenuto superiore a coloro che hanno fama di possedere una cultura brillante, in città apparirai persona molesta.
1078-1080 E capisco quali mali dovrò sostenere, ma più forte dei miei propositi è la passione, la quale è per gli uomini causa dei più grandi mali
296-ss Se porgi agli stolti un nuovo sapere, sembrerai persona incapace certo non sapiente. Se, invece, sarai ritenuto superiore a coloro che hanno fama di possedere una cultura brillante, in città apparirai persona molesta.
1078-1080 E capisco quali mali dovrò sostenere, ma più forte dei miei propositi è la passione, la quale è per gli uomini causa dei più grandi mali
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