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4 feb 2013

Orestea - Eschilo

Orestiadi by www.sipario.it

L’Orestea (ρέστεια) è una trilogia formata dalle tragedie Agamennone, Le Coefore, Le Eumenidi e seguita dal dramma satiresco Proteo, andato perduto, con cui Eschilo vinse nel 458 a.C. le Grandi Dionisie. Delle trilogie di tutto il teatro greco classico, è l'unica che sia sopravvissuta per intero.

Le tragedie che la compongono rappresentano un’unica storia suddivisa in tre episodi, le cui radici affondano nella tradizione mitica dell’antica Grecia: l’assassinio di Agamennone da parte della moglie Clitennestra, la vendetta del loro figlio Oreste che uccide la madre, la persecuzione del matricida da parte delle Erinni e la sua assoluzione finale ad opera del tribunale dell’Areopago.

L’Orestea costituisce il momento di massima maturità di Eschilo (almeno per le opere note), nonché l’ultima rappresentazione che egli fece ad Atene, prima di trasferirsi a Gela, dove morì due anni dopo. Le tre tragedie costituiscono una trilogia legata, in cui viene raccontata un’unica lunga vicenda. Eschilo era solito mettere in scena trilogie legate, e lo stesso probabilmente facevano i drammaturghi suoi contemporanei. In seguito tale uso verrà abbandonato, tanto che già le trilogie di Sofocle ed Euripide saranno formate da tragedie fra loro indipendenti.

Vi è una forte contrapposizione tra le prime due tragedie e la terza: l’Agamennone e Le Coefore simboleggiano l'irrazionalità del mondo antico ed arcaico, contro, nelle Eumenidi, la razionalità delle istituzioni della polis, in cui Oreste stesso si rifugia.



«Da tempo ho il silenzio come farmaco al danno»
Agamennone, 555

«A ciascun dio, diverso onore»
Agamennone, 638

«Molti uomini preferiscono l'apparenza e trasgrediscono il giusto. Sull'uomo sfortunato ognuno è pronto a piangere, ma il morso del dolore non giunge fino al cuore; e con l'uomo felice si rallegrano insieme, simili a lui nell'aspetto, facendo forza al volto che non ride. Ma a chi conosce bene il suo gregge non possono sfuggire gli sguardi di un uomo che, pur sembrando venire da animo benevolo, blandiscono con affetto annacquato.»
Agamennone, 788-798

«In pochi uomini invero è innato onorare senza invidia l'amico che ha fortuna: un veleno maligno, posatosi sul cuore, raddoppia il peso a chi possiede questo morbo; e pur gravato dai suoi propri mali, egli geme guardando alla felicitá altrui.»
Agamennone, 830-834

«Ecco, io saluto queste porte d'Ade: e prego di ricevere colpo mortale, perché senza sussulti, mentre in placida morte finisce il sangue, io chiuda questi occhi»
Agamennone, 1291-1293

«Le catene e le sofferenze della fame sono eccellenti medici e indovini delle menti, per insegnare anche alla vecchiaia»
Agamennone, 1621-1623

«Ma l'ardire smisurato
dell'uomo chi potrà dire?
chi delle donne audaci
gli amori che tutto osano,
compagni di rovine ai mortali?
Congiunti connubi
e di fiere e di mortali
malamente vince immane amore che donna travolge.»
Coefore, 594-601
«Tu, non io, ucciderai te stessa»
Coefore 923

«E vedrai ancora, chiunque altro dei mortali peccò,
o un dio o l’ospite
o i genitori diletti offendendo,
ciascuno avere giusta pena.
Sotterra Ade è possente nel chieder conto ai mortali:
tutto scrive nella memoria, e sorveglia. »
Eumenidi, 270-275

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