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26 set 2013

Da quest'isola lontana - Francesco De Masi

Ci sono dei piccoli gioielli che viaggiano indisturbati per il mondo.
Parole che profumano di sogni, di stelle che brillano, di poesia.
A volte ci si inciampa per caso.
E quando chiudi l'ultima pagina, ti soffermi sull'ultima riga, incapace di abbandonarlo.
 
Francesco De Masi, Da quest'isola lontana.
http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=583768
Dammi un cesto..
voglio metterci dentro, come lucciole al buio,
i bagliori dei bei momenti che abbiamo
passato insieme
e portarli nel mio cuore per sempre...
(Fatima Tognetti)
In un caldo pomeriggio di luglio Mauro, affacciato alla finestra, guarda le macchine ferme al semaforo che vanno verso il mare e ripensa con nostalgia ai momenti della sua vita, alle persone incontrate, agli amici che non ci sono piu', alle donne che ha conosciuto nella speranza di cancellare il ricordo di Ester il suo amore perduto. Nello stesso giorno, in un'altra città, Stella sta cercando il modo per dimenticare un amore impossibile e lontano. Due solitudini che si incontrano, che provano a conoscersi e ad amarsi.

Poesia della parola, di Bruno Cascianelli
Da quest’isola lontana, ti scrivo... Ma siamo proprio sicuri che quest’isola di Francesco De Masi sia proprio così lontana come vuole farci intendere lui? No, l’isola è così vicina che addirittura la porta dentro di sé, che tutti, quell’isola, la portiamo dentro di noi. Perché è l’isola dei ricordi, dei sogni, delle speranze. E’, anche, l’isola della poesia. Della poesia della parola che Francesco De Masi sa amalgamare come nessun altro, che fa della parola poesia pura e della poesia la parola detta per eccellenza, quella parola che trova echi e risonanze nella vita vera, quella che conta. La vita dei sentimenti, delle emozioni. In questo lavoro, dalla trama semplice in apparenza, tutto avviene dentro il protagonista, ed avviene, sembra, quasi contemporaneamente: il ricordo indelebile di Ester, l’amore che non si dimentica mai ("eravamo insieme. Tutto il resto del  tempo l’ho scordato"), Ester che era stato il sogno di invecchiare insieme e che invece invano provava ancora a dimenticarla. Perché come si fa a dimenticare quel "bacio dato per gioco in riva al mare di primavera". E poi Stella, l’amore virtuale che per nessuna ragione al mondo è meno amore dell’altro, perchè un giorno... "forse ci incontreremo saremo seduti al tavolino di un Bar a bere un caffè e ci guarderemo finalmente negli occhi e ci diremo così le cose che ora ci stiamo scrivendo". Ecco, la poesia di Francesco De Masi sta proprio qui, nel suono di queste parole, nell’organizzazione delle parole stesse nel contesto della frase, sicché non ha alcun senso andare  a cercare la trama della storia, perché la vera storia è questa. E lui, Francesco, che con un sorriso quasi di timidezza afferma "Ah, qualche volta dipingo", io dico che lui dipinge sempre, e da maestro sopraffino: sa dare la perfetta sfumatura ad ogni parola, trasformarla da prosa in poesia, farne un quadro da appendere davanti alllo sguardo per non dimenticare, per vivere, per sperare, per continuare a sognare. No, davvero quell’isola non è così lontana.
Citazioni
Non bisogna amare perché si è soli, bisogna amare per dare significati piccoli e grandi alle cose che si fanno, alle parole che si dicono, alle carezze date e ricevute, bisogna amare perché senti come un brivido lungo la schiena ed il desiderio folle di passare il tempo, tutto il tuo tempo con l’altra persona, perché è corto il tempo della vita, troppo e non ti accorgi di come passano gli anni se non quando guardi indietro e non li trovi, quando ti rendi conto che scappano via lasciando sempre una scia di nostalgia e di rimpianto, di ciò che poteva essere e non è stato, di quanto si poteva fare e non si è fatto, le occasioni perse, le speranze svanite e con i sogni trasformati ormai in incubi crudeli e beffardi. Ma per amare, come per vivere occorre coraggio o forse incoscienza, spezzare le funi che ci tengono legati a luoghi e persone, talvolta con un ricatto di sentimento egoistico e sottile e ci giustifichiamo col non volere far male o deludere, ma in quel momento, in quello stesso momento ci facciamo male da soli molto di più che non andare via, col coraggio di ricominciare.
Perché non provarci, senza infrangere i vetri delle finestre, senza lasciare le imposte sbattere al vento di una incerta fuga, ma semplicemente provare ad uscire piano, senza far rumore e vedere il mondo fuori, sola e libera, magari anche con la piccola inconsistente bugia del tanto fra poco torno e quel poco poteva servire come un inizio, come una prova; e quel poco poteva diventare un molto, un tanto, un sempre, quel poco poteva voler dire non torno più, perché è ancora giovane la mia pelle e desiderosa di carezze, perché ho ancora gli occhi grandi e belli ed i miei riccioli non hanno alcuna offesa di bianco ma sono ancora d’oro, e d’argento è la mia voce, sulle mie mani non ci sono le macchie degli anni, ma solo la voglia immensa di un’altra vita.
Metterò nella mia borsa da viaggio i miei sandali più belli, i miei vestiti di mirra, i miei riccioli di arcangelo perché quando lo vedrò, dovrò incantargli gli occhi e disorientargli il futuro.
Questa volta no, non avrebbe fatto l’errore consueto di illusionista della parola come era sempre stato, non avrebbe giocato alla vita, perché il tempo vola e gli angeli non passano più di una volta sopra lo stesso cielo, non avrebbe costruito le difese mille volte ripetute per conservare quel niente che stringeva nelle mani perché alla fine le luci si spegnevano, i giornali di oggi diventavano quelli di ieri e lui rimaneva sempre da solo nella via di casa.
L’avrebbe accolta con il suo sogno di uomo finalmente sincero, baciandola sulla fronte e chiamandola per nome e lei avrebbe sorriso stringendosi a lui, con quella sicurezza timida che fa battere il cuore e si sarebbero inondati di parole per non arrossire per andare oltre l’imbarazzo dell’ignoto; l’avrebbe riconosciuta dal passo lieve, dal profumo di stelle, dal violino infinito delle sue mani e tra tutte le voci, nessuna se non la sua, avrebbe cantato lo splendore di quel giorno.
Avrebbe voluto rivederla, parlarle, ma ormai lei era immune a qualsiasi rintocco di nostalgia, era approdata al di là di ogni sogno e di ogni dolore.
Potrai vedere le rughe dei miei ricordi solo se sarai così bravo a guardare oltre i miei occhi.
Sono nata dove le vocali cantano e ti avvolgano con la dolcezza della primavera e tutti i giorni indico la rotta per il futuro a chi lo ha tutto davanti ora che il mio è diventato sottile come carta velina. Non ti dirò dei miei giorni felici con quell’uomo che sorrideva con gli occhi e cullava il mio corpo sottile con la leggerezza della seta, eppure anche con lui era stato per caso, come con te, ma mi ha fatto sentire la voce del fiume davanti alla finestra mentre l’estate finiva, ha stretto le mie mani nervose nelle sere ed al mattino e mi ha eletto principessa dei mesi a venire, si è poggiato piano sui miei seni e gli baciavo gli occhi mentre aspettava, in un letto non per due, che mi sorprendesse la notte. Non dormiva per vedermi dormire e mi svegliava, baciandomi le palpebre, con l’aroma del caffè e sentivo l’odore della sua pelle su di me e sentivo avvolgermi come fosse un mantello quando mi cercava nel buio e mi parlava piano, dolcemente, con le sue “e” aperte come melograni a novembre.
 
Avevano fatto l’amore
con una passione ed un trasporto fino ad allora sconosciuti e nel pomeriggio autunnale, Mauro aveva sentito il corpo di Stella sussultare, accaldarsi, stendersi vicino a lui,sudato e felice. Poi erano usciti con quella meravigliosa certezza di avere accanto quell’inaspettata distrazione di Dio.
Forse, più probabilmente, la distrazione era stata di Mauro che fino a quel momento aveva scambiato per sogno ciò che sogno non era, l’inaspettata bottiglia nel mare era un multiplo di altre bottiglie, il messaggio per naufraghi si era arenato nei labirinti della sua vita per un caso, anche se aveva pensato che era solo per lui quel luccichio d’infinito che era stato sparso nell’etere alla ricerca di un approdo.
Non era per lui, Mauro era stato solo il primo pescatore di stelle o l’unico a tirare a riva quel frammento d’anima rimanendo stordito dal profumo di firmamento sperando finalmente in un accordo felice negli equinozi del suo destino.
L’aveva riconosciuta dal grano dei capelli, nella voce di velluto, in quella carezza lunga che gli faceva inciampare le parole ed incrinava la voce ed aveva deciso in quell’istante eterno che sarebbe stata, se lei l’ avesse voluto, l’unica baia che voleva trovare nelle sue sere senza luna,l’unico canto di sirena nei suoi giorni di vetro leggero.
L’amore era arrivato senza dirselo, come le sue labbra poche ore dopo averla incontrata, aveva sentito il caldo della sua pelle sotto la maglietta leggera, il fremito di donna quando sgusciava via, arrossendo di desiderio, dalle sue braccia.
E aveva aspettato, non aveva fretta, vedeva tutti gli anni davanti e che sia bello, almeno per una volta, come quando ragazzo si era scoperto affannato e felice tra le braccia di Ester. Aveva i suoi stessi riccioli e gli stessi occhi e la sua voce cantava quando si erano amati la prima volta in quel nord alpino chiusi in un nido incantato del quattordicesimo piano con lei che non sussurrava promesse e futuro, anche se tutte e due avevano la certezza di rivedersi ed amarsi ancora.
Piano, dolcemente, come il giorno sul mare, avevano continuato ad incontrarsi ed i silenzi erano diventati parole, e le parole frasi e le frasi promesse, biglietti colorati da cioccolatino, persi nei vicoli di città sconosciute, confusi nelle stelle degli alberghi e nelle prenotazioni dei treni, finché tornò il luglio di giubilo nei viali di acacie e buganvillee fiorite.
E ti ho sussurrato, proclamandoti regina, chiudi gli occhi amore, questa notte e per tutte le notti a venire, chiudi gli occhi che non si sente il mare ed il cielo è fermo sopra di noi, tacciono le cicale e si ferma il mondo perché tu sei qui, finalmente, tra le mie braccia.
E pur non conoscendo il domani e gli inganni del destino, ti vedevo negli specchi del mio futuro perché credevo di essere padrone del tuo cuore ed il destinatario dei tuoi pensieri, perché speravo di far cantare la tua vita, così come tu facevi cantare la mia. e non riesco a capire questo cruciverba di inganno questo negare i giorni, i sorrisi ed i ricordi per un interrogativo di attesa.
Eppure pochi attimi prima ero il tuo futuro grande, il tuo solo presente, il tuo pensiero notturno, l’ansia del tuo domani di sole e begonie, il solo uomo che amavi, l’unico che poteva capirti. Improvvisamente ero diventato un dubbio, un’incertezza, un chissà, non ero nemmeno l’amico che mille volte aveva cercato il tuo cuore, che taceva sui tuoi silenzi che ti immaginava nelle mattine di freddo e di nebbia. Ero il punto interrogativo delle tue attese, il cantastorie ignoto delle tue romanze.
Oggi che non riesco a scuotere queste stelle di amarezza dalla coperta della mia notte vorrei parlarti, ma non sei qui e non mi basta solo la tua voce che mi giunge da lontano, vorrei vederti, guardarti negli occhi per sapere in quale stagno di illusione si sono perse le nostre parole.
Si, perché le nostre erano parole e nient’altro, un garbato modo per rispondere alle mie speranze, una gentilezza dovuta, una cortesia, ma possibile che solo per questo trovavo il tuo corpo accanto al mio, sentivo la tua bocca e mi mischiavo al tuo profumo nelle nostre notti di mare, dimmi perché trovavo le tue mani ogni volta che li cercavo, perché riempivi il mio tempo con la tua voce sussurrante.
Non ti avevo cercato, ci eravamo incontrati negli incroci di una comune disperazione e mi ero illuso di vivere quel tratto di vita, lungo o corto che fosse con la gioia del momento di meraviglia che era l’averti accanto convinto di leggere dentro i cocci sparsi della tua anima il sorriso che si apriva assieme alle tue braccia ad ogni tuo arrivo.
Mi hanno insegnato di diffidare sulle lacrime di una donna e forse è vero perché si erano inumiditi i tuoi occhi sull’ultimo treno nei venti gelidi di novembre ed io a quelle lacrime, però, avevo creduto, ed avevo fatto mia la tua tristezza e il tuo dolore, il mio pensiero ti aveva accompagnato nella strada del ritorno, cullava i tuoi pensieri ed i tuoi desideri, era con te nelle mattine incerte, nei pomeriggi lunghi, nelle sere e nelle notti, era con te nei tuoi passi e nei tuoi vestiti, nei tuoi profumi, negli incroci del traffico, nei supermercati affollati, nel the delle cinque.
Forse, se tu mi avessi chiesto di dirti del domani, sarei rimasto in silenzio senza sapere cosa dire, ma davo per certo che sarebbe stato e con te; avevo messo in conto l’amarezza di non conoscere il resto della tua vita, l’uomo a cui avevi dato i tuoi anni e le cose che con lui avevi diviso, avevo steso un telo bianco sul nostro mondo ed avevo provato a ricostruire il tempo dalla sera che avevo stretto le tue mani davanti alla Cattedrale, col vento di settembre che ti arruffava i capelli ed accarezzava i tuoi occhi inventati.
E poi ti ho amato, come non si deve amare.
E ti amo ancora, anche se ormai conosco gli accordi stonati dei tuoi pentagrammi per viandanti, anche se ora so che per te le parole hanno lo stesso senso delle gocce di rugiada sulle onde marine, ti amo ancora non so se perché fa troppo dolore questa ferita o per ricordarmi di non amare più.
Ed era un amore, come quello che voleva ancora con la sua voglia caparbia di continuare a sognare, ed a sbagliare, magari, perché ora l’avrebbe vissuto col desiderio splendido di una maturità di disincanto, lontano dalla passione senza senso di un sospiro in più da raccontare; voleva ancora un amore da vivere, ed a lei a quell’unica, irripetibile ultima lei, avrebbe detto delle sue notti insonni, del suo dolore di figlio unico, delle parole che non aveva mai trovato per crescere, a lei, a lei soltanto avrebbe consegnato quella scatola di meraviglia che era la sua voglia di vita e con lei avrebbe ballato una notte di s. silvestro tra fuochi di giubilo e petardi di festa.

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