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16 apr 2015

La donna giusta, di Sándor Márai

Romanzo maturo e intenso narra dei legami sentimentali tra personaggi particolarmente eterogenei per formazione ed estrazione sociale. Ambientato prevalentemente a Budapest nella prima metà del novecento è suddiviso in tre parti ed un epilogo. Ogni parte è scritta in soggettiva, come ipotetico dialogo con un interlocutore, che però di fatto si rivela essere un lungo monologo; ognuno dei protagonisti narra con grande partecipazione emotiva del proprio vissuto con la persona amata, in particolare della ricerca interiore ed esteriore del grande amore: emerge quindi l’interrogativo essenziale “chi è la donna giusta?”. Tra i differenti temi toccati interessanti sono l’indagine sull’animo umano, la solitudine, la poetica dell’amore, la consistenza della cultura (vista come esperienza personale ma anche come riflesso condizionato), i rapporti tra differenti ceti sociali e le ultime fasi della seconda guerra mondiale a Budapest. Dolce e amaro l'epilogo a New York, dove un nuovo mondo ha preso il posto di quello vecchio.
 Sándor Márai in origine Sándor Károly Henrik Grosschmid de Mára (Košice, 11 aprile 1900 – San Diego, 22 febbraio 1989), è stato uno scrittore e giornalista ungherese. La sua fama è legata in particolare al romanzo Le braci, apparso in Italia nel 1998 e L'eredità di Eszter, pubblicato nel 1999.
« Noi siamo ciò su cui manteniamo il silenzio » (S. Márai, Le braci)

Voce narrante: la moglie
Nella vita di ogni essere umano, c’è un testimone, una persona più forte incontrata in gioventù; e si fa tutto per nascondere agli occhi di questo giudice spietato qualcosa di disonorevole che è dentro di noi. Il testimone non si fida di noi. Sa qualcosa che nessun altro sa. Diventiamo ministri, vinciamo il Premio Nobel, eppure il testimone ci guarda e sorride. Tu ci credi?...
Ogni amore è sfrenato egoismo.
Sapeva che dietro ogni cosa umana ci sono anche inettitudine, smania, menzogna e ignoranza, che non si deve credere a tutto, nemmeno quando chi ti sta di fronte sta parlando in assoluta buonafede.
L’amore c’è o non c’è. Che altro resta da capire?...Quanto vale il sentimento umano quando dietro ci sono nascoste l’intenzione, la consapevolezza? … Sai, quando si invecchia, si scopre che le cose stanno in modo diverso, che bisogna sempre “sapere come si fa”, bisogna imparare tutto, anche ad amare. Sì, quindi è inutile che scuoti il capo, che sorridi. Siamo esseri umani, e ciò che accade nella nostra vita viene filtrato dalla ragione. Ed è sempre attraverso la ragione che i nostri sentimenti e le nostre passioni diventano sopportabili, oppure ci paiono intollerabili. Amare non è sufficiente. […]
“Che cosa succede nell’anima quando ci si innamora” gli chiesi, come una scolaretta.
“Nell’anima non succede nulla.” Rispose senza indugio. “I sentimenti non si manifestano nell’anima. Seguono un corso differente. Ma possono riversarsi sull’anima, come un fiume in piena su un terreno alluvionale.”
“E una persona intelligente, razionale, può contenere quest’onda?” domandai.
“Mia cara signora” disse animatamente “la questione è piuttosto interessante. Me ne sono occupato parecchio. Devo rispondere che, entro certi limiti, è possibile. Intendo dire che… la ragione non può far scaturire né bloccare i sentimenti. Può invece disciplinarli. I sentimenti, quando diventano un pericolo per se stessi e per il prossimo, possono essere rinchiusi in gabbia.”
“Come un puma?” Ero quasi inconsapevole delle mie parole.
“Come un puma” disse, e si strinse nelle spalle. “Lì dentro il povero sentimento comincia a camminare su e giù, a ruggire, digrigna i denti, si accanisce contro le sbarre… ma alla fine, stremato, perde il pelo e i denti, invecchia, diventa triste e mansueto. Questo è possibile.. ho già visto qualcosa di simile. È sempre opera della ragione. È possibile domare, addomesticare i sentimenti. Certo,” proseguì con cautela “non è bene aprire anzitempo la porta della gabbia. Perché il puma  uscirebbe e, se non è ancora abbastanza docile, potrebbe causare molti fastidi”.
“Sia più chiaro” gli chiesi.
“Non riesco a essere più chiaro” disse paziente. “Lei vorrebbe sapere da me se è possibile annientare i sentimenti con l’aiuto della ragione… A questo rispondo con franchezza: no, non lo è. Ma per consolarla, posso dirle che i sentimenti, talvolta, nei casi più fortunati, possono essere domati e mortificati. Guardi me. Io sono sopravvissuto.”
 Arrivano più tardi le parole giuste, e per trovarle bisogna pagare un prezzo terribile.
Quando si comincia a piangere, vuol dire che ormai si cerca di ingannare il prossimo. In quel momento, il corso degli eventi si è già concluso. Non credo alle lacrime. Il dolore è asciutto e muto.
Non è vero che con il dolore ci si purifica, che si diventa migliori, più saggi e comprensivi.  Si diventa freddi, lucidi e indifferenti. Quando, per la prima volta nella vita, si comprende veramente com’è il destino, si acquista una specie di tranquillità. Si è calmi, e soli al mondo – di una solitudine così strana, e terribile…
Lo disse con tale calma da risultare quasi indifferente, come solo le persone anziane riescono ad essere quando sono sul punto di congedarsi dal mondo e, conoscendo il vero significato delle parole, non hanno più nulla da temere e stimano la verità al di sopra delle convenzioni umane. Impallidii appena a quella confessione.
Va sempre così: uno dei due ama più dell’altro. Ma chi ama è facilitato. Tu ami tuo  marito, perciò ritieniti fortunata, anche se a volte ti fa soffrire. Io ero costretta a sopportare un sentimento che non ricambiavo. Questo è molto più difficile. […] Le persone si uccidono tra loro in molti modi. Non basta amare, cara. L’amore può anche trasformarsi in un grande egoismo. Bisogna amare con umiltà e avere molta fede. Soltanto se è animata dalla vera fede la vita intera acquista un senso. Dio ha donato l’amore agli uomini affinché riescano a sopportare meglio il mondo e la convivenza fra loro. Ma se si ama senza umiltà si finisce per essere di peso all’altro.
Quel che anima una cosa non è certo il mobilio, ma il sentimento che anima le persone che vi abitano.
Nella vita ci sono momenti del genere, in cui si prova una sorta di vertigine e si vede tutto con assoluta lucidità, si riscoprono energie e potenzialità nascoste e si comprende perché si è stati troppo codardi o troppo deboli. E sono i momenti in cui la nostra vita cambia. Arrivano all’improvviso, come la morte, o una conversione.
Conosci quella scultura di Michelangelo, sai, quel magnifico marmo che si trova nel Duomo… aspetta, come si chiama? Ah, sì. Pietà. L’artista aveva ritratto se stesso, ormai vecchio, nel volto della figura che sovrasta il gruppo. A Firenze ci andai insieme a mio marito. Fu lui a mostrarmi la statua. Disse che quello era un volto umano nel quale non c’era rabbia né desiderio, un volto dal quale era svanita ogni traccia di passione, il volto che sapeva tutto e non voleva nulla, né vendetta, né clemenza, niente, assolutamente niente. Così bisognerebbe essere, disse quel giorno mio marito dinanzi alla scultura. È questa la suprema perfezione umana, questa sacra indifferenza, questa solitudine assoluta e sorda nei confronti delle gioie e dei dolori.
L’amore, quello vero, è paziente, mia cara figliola. L’amore è infinito e sa attendere.
È duro avere a che fare con un vero uomo, mia cara, perché ha un’anima.
Lui non se n’è mai andato. Per questo è impossibile. Si può far tornare qualcuno che è stato infedele. Si può riconquistare chi si è allontanato. Ma chi in realtà non è mai neppure arrivato, mai… No, è davvero impossibile.
Mi è capitato di vedere più di una principessa, e nessuna aveva una figura principesca. Questa donna invece sì. E c’era pure qualcos’altro nel suo sguardo, nel suo volto, intorno a lei, negli oggetti, nell’arredamento e nell’atmosfera della sua stanza, qualcosa che mi riempiva di paura. Prima ho parlato di volontaria rinuncia… Ma sotto la rinuncia c’era un’attesa spasmodica. SI teneva pronta. Voleva tutto o niente. Un istinto che resta in agguato, senza mai arrendersi, per anni, per decenni. Uno sguardo vigile, instancabile. Una rinuncia che non ha nulla di disinteressato e umile, ma è invece orgogliosa e superba.
Ci sono istanti precisi in cui comprendiamo che l’assurdo, l’impossibile, l’inconcepibile sono in realtà tanto ordinari quanto semplici.
In un bel libro spagnolo, un libro intelligente e triste – ho già dimenticato come si chiama l’autore, ha un nome da toreador, lunghissimo, tutta una sfilza di nomi di battesimo -, ho letto che questa specie di incantesimo, lo stato d’animo degli innamorati in perenne attesa del loro amore assente, è per certi aspetti simile al deliquio degli ipnotizzati; e il loro sguardo ricorda quello dei malati che, sollevando a fatica le palpebre, si risvegliano dal coma. Del mondo questi non vedono altro che un viso, non sentono altro che un nome.
Ma un giorno si svegliano.
Come me.
Si guardano intorno, si stropicciano gli occhi. Ormai non vedono più soltanto quel viso… per la precisione, vedono anche quel viso, ma più sfocato. Vedono un campanile, una foresta, un quadro, un libro, i volti di altre persone, si accorgono di quanto sconfinato sia il mondo. È una sensazione strana. Quel che il giorno prima ancora sembrava insopportabile, era tanto doloro e bruciava il cuore, oggi non fa più male. È questa la realtà, e ognuna di queste cose è ugualmente importante. Ieri tutto era ancora improbabile, fluttuante e privo di senso – e la realtà era completamente diversa. Ieri volevi ancora vendetta, o redenzione, volevi che telefonasse, che avesse un disperato bisogno di te, o che venisse sbattuto in carcere e giustiziato. Sai, finché provi tutto questo, l’altro è ben felice di starsene lontano da te. Fino a quel momento ha ancora potere su di te. Finché gridi vendetta, l’altro si frega le mani, perché vendetta significa anche desiderio, la vendetta è una forma di sudditanza. Ma arriva il giorno in cui ti svegli, ti stropicci gli occhi, fai uno sbaglio, e improvvisamente ti rendi conto di non volere più nulla. Nemmeno incontrarlo per strada ti turba più. Se telefona, rispondi come si deve. Se vuole vederti e non puoi fare a meno di incontrarlo, non c’è problema, prego, si accomodi. E tutto questo lo fai con animo tranquillo e sincero, sai… non c’è più niente di convulso, di doloroso, di delirante. Che cosa è successo? Non capisci. È che non vuoi più vendicarti… e scopri che proprio in questo sta la vera vendetta, l’unica, la più perfetta, nel fatto che non vuoi più niente da lui, non gli auguri né male né bene, ormai non riesce più a farti soffrire,
Le cose sono andate proprio così. Una mattina mi sono svegliata e ho cominciato a vivere, a camminare. […] Ho sofferto moltissimo, per un anno ho creduto che sarei morta di crepacuore. Ma una bella mattina mi sono svegliata e ho scoperto una cosa. Mi sono messa a sedere sul letto e ho sorriso. Non sentivo più alcun dolore. E improvvisamente ho capito che non c’è nessuna persona giusta. Non esiste né in terra né in cielo né da nessun’altra parte, puoi starne certa. Esistono soltanto le persone, e in ognuna c’è un pizzico di quella giusta, ma in nessuna c’è tutto quello che ci aspettiamo e speriamo. Nessuna racchiude in sé tutto questo, e non esiste quella certa figura, l’unica, la meravigliosa la sola che potrà darci la felicità. Esistono soltanto delle persone, e in ognuna ci sono scorie e raggi di luce, tutto…
 
Voce narrante: il marito.
L’uomo non vive per essere felice. L’uomo è al mondo per mantenere la propria famiglia, per allevare persone oneste, e non deve aspettarsi in cambio né gratitudine né felicità. Niente può renderci felici. Però avere una famiglia è un compito così importante, di fronte a noi stessi e al mondo, che in suo nome vale la pena di sopportare le incomprensibili difficoltà e le inutili sofferenze della vita. Non credo esistano “famiglie felici”. Ma ho visto certe situazioni di armonia, di concordia tra esseri umani, in cui ciascuno viveva sì, in parte, a dispetto degli altri, per se stesso, eppure, nell0insieme, ognuno in famiglia viveva anche per gli altri, anche se i vari membri litigavano come lupi. Famiglia… è una parola grossa. Sì, la famiglia è forse uno degli scopi della vita.
 Umiltà è forse una parola troppo grossa. Per raggiungerla bisogna sapersi perdonare, bisogna sapersi disporre a uno stato d’animo straordinario. Nella quotidianità bisogna essere modesti e sforzarsi di capire quali siano veramente i nostri desideri, le nostre inclinazioni, e poi ammetterli senza vergogna. E sforzarsi di conciliare le nostre aspirazioni con le possibilità offerte dal mondo.
 La maggior parte delle persone non sa amare né lasciarsi amare, perché è vigliacca o superba, perché teme il fallimento. Si vergogna a concedersi a un’altra persona, e ancor più ad aprirsi davanti a lei, poiché teme di svelare il proprio segreto… Il triste segreto di ogni essere umano: un gran bisogno di tenerezza, senza la quale non si può resistere.
 L’alcova è giungla e cascata, è il ricordo di qualcosa di primordiale e incondizionato, di un’esperienza il cui contenuto e il cui senso si identificano con la vita stessa. Se questo ambiente primordiale viene privato delle erbacce e trasformato in una specie di giardino all’inglese, resta qualcosa di molto bello, ordinato e attraente, pieno di fiori dal profumo delizioso, di begli alberi e di arbusti ornamentali, di fontane zampillanti dai mille riflessi, ma la giungla, di cui inconsciamente serbiamo un’eterna nostalgia, non esisterà più.
 Un bel giorno ci si scopre tranquilli. Non si desidera più la felicità, ma non ci si sente neppure inariditi o ingannati. Un giorno si capisce con chiarezza di aver ricevuto tutto, il castigo e il premio, e di aver ricevuto secondo i propri meriti. Non si ottiene nulla se si è stati troppo vigliacchi, o se non si è dimostrato abbastanza eroismo… È tutto qui. Non si tratta di gioia, ma di rassegnazione, condiscendenza e quiete. Si arriva anche a questo, alla fine. Però bisogna pagare un prezzo altissimo.
 A volte mi sembra di essere un apprendista defunto che si esercita per diventare un bravo cadavere.
 Nell’esistenza degli esseri umani può verificarsi un processo terribile, spaventoso, peggio di qualsiasi altro… il loro progressivo isolarsi dal mondo. Quando diventano simili a macchine. In casa regna un ordine rigoroso, un ordine ancor più rigido nel lavoro, e intorno a loro vige il più severo ordine sociale; e poi ancora ordine negli svaghi, nelle inclinazioni, nella vita amorosa. Vivono nell’ordine, un ordine maniacale. E in questo ordine immane, a poco a poco la vita si congela intorno a loro. È un processo lento e inarrestabile. Tutto diventa importante, ci si concentra su ogni minimo dettaglio, ma si perde di vista l’insieme, la vita stessa.
E finché in questa solitudine resta viva l’attesa, finché in fondo al cuore e all’anima si custodisce la speranza, la vita è sopportabile. Si continua a vivere, come si può… non benissimo, certo, non in modo degno di un essere umano, ma si vive: la mattina ha ancora senso dare la carica al meccanismo e farlo ticchettare fino a sera. Perché si continua a lungo a sperare.
È davvero difficile arrendersi a questa realtà sconfortante, rassegnarsi al fatto di essere soli, terribilmente e disperatamente soli. Soltanto pochissimo restano saldi nella consapevolezza che non c’è rimedio alla solitudine dell’esistenza. I più nutrono speranze, si affannano a destra e a manca, cercano rifugio nei rapporti umani, ma in questi tentativi di fuga dalla solitudine non c’è mai vera passione, né dedizione, e allora si nascondono dietro mille impegni fasulli, lavorando dalla mattina alla sera, o progettano viaggi,  acquistano grandi case, comprano  i favori di donne con le quali non hanno nessuna affinità, o cominciano a collezionare gli oggetti più svariati. Ma niente giova. E mentre si danno tanto da fare sono perfettamente consapevoli che non serve a nulla. Eppure continuano a sperare, senza più nemmeno sapere in che cosa.
Tutto questo non serve a nulla… Ecco che perché in preda all’angoscia e allo smarrimento, cercano in ogni modo di mantenere tutto in ordine. Tutto, pur di non restare nemmeno per un attimo in questa solitudine!
Una volta raggiunta una certa età, la solitudine inizia a manifestarsi. Non accade da un giorno all’altro; le autentiche crisi della vita, come le malattie o le separazioni, o l’incontro tra due persone la cui unione è segnata dal destino, non arrivano a un’ora precisa e non vengono né stabilite né annunciate, al punto che spesso chi vi è coinvolto non si accorge nemmeno di quanto sta succedendo.  La solitudine è una specie di malattia, più precisamente uno stato nel quale ci si rinchiude, una condizione che trasforma l’uomo in un animale impagliato dentro una gabbia.
 Quando vuole creare qualcosa, la vita realizza messinscene impeccabili.
 A rendere nobili gli esseri umani non sono né il rango né i natali, ma il carattere e l’intelligenza.
 Le donne. Hai notato con quale tono incerto e diffidente gli uomini pronunciano questa parola? Come se fossero di una tribù ribelle, assoggettata ma non ancora perfettamente domata, sempre incline alla rivolta. E poi quale sarà mai il senso di questo concetto nella vita di tutti i giorni? Le donne… Che cosa ci aspettiamo da loro? …Figli? …Aiuto? … Serenità? Gioia? Tutto? Niente? Attimi? L’uomo vive, desidera, si prepara per un incontro, fa l’amore; si sposa, sperimenta insieme a una donna amore, nascita e morte, poi si volta a guardare un bel paio di gambe per strada, perde la testa per una splendida chioma, si rovina per un bacio di labbra ardenti e, mentre giace in alcove borghesi o sui materassi cigolanti di squallidi alberghi a ore, ha la sensazione di sentirsi appagato, e talvolta si mostra magnificamente generoso nei confronti di una donna. Gli innamorati piangono e si giurano di restare insieme, di aiutarsi e sostenersi; andranno a vivere in cima a una montagna o in una grande città… ma poi il tempo passa, un anno, tre anni, un paio di settimane – hai notato che l’amore, proprio come la morte, ha un tempo che non si può misurare con orologi o calendari? – e i loro grandi progetti falliscono, o non hanno l’esito immaginato. E allora si separano, pieni di rancore, o con indifferenza, e tornano a sperare, ricominciano da capo a cercare un nuovo compagno. Se sono ormai troppo stanchi e restano insieme, succhiandosi a vicenda energia e voglia di vivere, si ammalano; è un po’ come se si uccidessero, e alla fine muoiono. E chissà se nel momento estremo, mentre stanno per chiudere gli occhi, capiranno finalmente che cosa volevano l’uno dall’altro… forse invece hanno semplicemente obbedito a una legge cieca e incommensurabile, a un comandamento che rinnova e perpetua il mondo con il respiro dell’amore, e che necessita di uomini e donne i quali accoppiandosi garantiscano la conservazione della specie… Tutto qui? E loro, nel frattempo, poverini, che cosa mai speravano per se stessi? Che cosa si sono dati, che cosa hanno ricevuto l’uno dall’altro? Quale misterioso e tremendo bilancio è questo… E il sentimento che spinge un uomo verso una donna è davvero rivolto alla persona? Il suo oggetto non sarà piuttosto il desiderio stesso, sempre e soltanto quel desiderio che a volte, in modo del tutto provvisorio si incarna in un corpo? Eppure, l’artificiosa eccitazione in cui viviamo non poteva certo essere il fine della natura quando ha creato l’uomo e ha deciso di mettergli accanto la donna perché ha visto che la solitudine non era un bene.
 La nostra pace interiore […] siamo noi i soli in grado di conquistarla. Come? Vincendo il desiderio e la vanità. Si può? …Non è detto. Forse quando si è avanti con gli anni. Con il passare del tempo, anche se i desideri non muoiono svanisce l’ansia, l’avidità furiosa, si esauriscono la disperata eccitazione e la nausea che pervadono ogni desiderio e ogni appagamento. Ebbene sì, ci si stanca. Io, talvolta, sono quasi felice che la vecchiaia sia ormai alle porte. Certe volte non vedo l’ora che giungano le giornate piovose in cui andrò a sedermi accanto alla stufa in compagnia di una bottiglia di vino rosso e di un vecchio libro che narra di antichi desideri e delusioni…
 Riesci ad avere davvero qualcosa dai libri solo se sei capace di mettere qualcosa di tuo in ciò che stai leggendo. Voglio dire, solo se ti accosti alla lettura come a un duello, con lo stato d’animo di chi è disposto a ferire e a essere ferito, a polemizzare, a convincere e a essere convinto.
 Ci sono momenti in cui ogni donna si trasforma in una belva… ed è proprio allora che la vanità, quella bestia feroce, comincia a ruggire dentro di lei. Poi si calma, si rassegna, perché ormai non le resta nient’altro. Anzi, in realtà credo che non si rassegnerà mai completamente, ma questi non sono che dettagli patetici.
 Un giorno mi svegliai e mi accorsi che lei mi mancava. È la sensazione più avvilente che si possa immaginare. Quando senti la mancanza di qualcuno. Ti guardi intorno, non capisci. Allunghi la mano, con gesto esitante cerchi di afferrare un bicchiere d’acqua, un libro. Tutto è in ordine nella tua vita, gli oggetti, le persone, gli appuntamenti della giornata: il rapporto con il mondo non è cambiato. Però ti manca qualcosa. Cambi la disposizione dei mobili  nella tua camera… ma non si tratta di questo. Intraprendi un viaggio. La città che da tanto tempo desideravi visitare ti accoglie in tutto il suo severo splendore. Nella città sconosciuta ti alzi presto, ti affretti a scendere per strada munito di guida e cartina, vai a cercare la celebre pala d’altare in una chiesa, ammiri l’arcata del famoso ponte, al ristorante ordini i piatti tipici del luogo, che il cameriere ti porta in tavola pieno di fierezza. In quella zona viene prodotto un vino inebriante che non potrai trovare altrove. Qui sono vissuti grandi artisti che, con la magnifica prodigalità del loro genio, hanno tempestato la loro città natale di un’incredibile serie di capolavori. Ti aggiri tra finestre, portali e colonnati la cui bellezza e nobiltà di linee è stata commentata nei più famosi volumi di storia dell’arte. A ogni ora del giorno e della sera le strade si riempiono di donne e ragazze dagli occhi splendidi e dal passo leggero. In questo luogo abita una razza orgogliosa e fiera, conscia della propria bellezza e infinitamente sensuale. Ti senti sfiorato da innumerevoli sguardi, che contemplano la tua solitudine con tenerezza o ti deridono con mite superbia, sguardi seducenti, che ti inviano messaggi, sguardi femminili che sembrano sprizzare minuscole scintille. Di notte la musica risuona in riva al fiume, alla luce di colorate lanterne di carta si odono canti, il vino è dolce, le coppie danzano. In questi luoghi pieni di suoni e di luci ridenti c’è un tavolo anche per te, e una donna con cui conversare in modo piacevole. Tu osservi tutto, come uno studente diligente, sin dalle prime ore dell’alba sei in marcia per la città, con la guida in mano, attento a ogni minimo dettaglio, animato da un incredibile zelo, quasi temessi di lasciarti sfuggire qualcosa. La tua percezione del tempo è del tutto mutata. Come chi sia costretto a rispettare un regolamento opprimente, ti svegli a un orario preciso. Ti sembra di essere atteso. Si tratta di questo, è chiaro, ma a lungo non osi ammetterlo con te stesso: sei convinto che dietro la facciata di questo ordine così rifido ci sia qualcuno che ti aspetta. Se sarai davvero puntuale e attento, se ti alzerai presto e andrai a dormire tardi, se trascorrerai molto tempo in mezzo alla gente, se viaggerai a destra e a manca, se entrerai in certi luoghi alla fine riuscirai a incontrare la persona che ti sta aspettando. Naturalmente, sai benissimo che questa è una speranza del tutto infantile. Ormai confidi solo nelle infinite eventualità del mondo. Fra te e la persona scomparsa il mondo ha eretto uno schermo fitto di mistero. Come fai a cercarla?... E poi, se anche riuscissi a trovarla, che cosa le diresti? Nonostante tutto, l’aspetti.
 Ti va un’altra bottiglia? Se ne sono andati quasi tutti. È proprio questa l’ora in cui mi sento più a mio agio, qui. Vedi, sono rimasti solo i nottambuli. I solitari e i saggi, o i disperati, ai quali oramai importa soltanto restare dove le luci sono accese e tutto intorno siedono altri sconosciuti, dove si è davvero soli, senza essere costretti a tornare a casa. È sempre duro tornare a casa quando si ha una certa età, dopo aver vissuto certe esperienze. Si sta meglio così, fra estranei, in piena solitudine, senza alcun rapporto.
 Ci vuole molto tempo prima di capire a che cosa hai diritto nella vita… Fino a che punto ne sei padrone e quanto di te stesso e del tuo destino hai dovuto cedere ai sentimenti e ai ricordi. In momenti come questi, nelle lunghe notti insonni, o mentre sei in mezzo alla folla, per strada, quando all’improvviso capisci quali siano le relazioni tra i fatti, allora ti chiedi: che cosa ho avuto? Che cosa ho dato? Di quanto sono in debito? Sono domande spinose. Mi ci sono voluti anni per capire che esiste una specie di diritto, un diritto che non è stato stabilito dagli uomini, bensì dal Creatore. Io ho il diritto di morire da solo. Capisci?
È un grande diritto, questo. Per il resto hai soltanto debiti. Fino a quando avrai desideri, hai anche dei doveri. Ma arriverà il giorno in cui l’anima si riempirà completamente del desiderio della solitudine. Quando avrai voglia di gettare fuori dalla tua anima tutto ciò che è superfluo, falso.
L’ultimo viaggio di un essere umano. A questo hai diritto. Il bagaglio per tale viaggio non può che essere leggero… devi poterlo portare con una mano sola. Dentro non c’è ciente di futile, niente di superfluo.
 C’è un personaggio il cui unico grande desiderio è che la vita gli conceda una cassetta da pesca verde – sai, una di quelle scatole di latta verdi in cui i pescatori tengono amo, lenza ed esche. Quest’uomo invecchia, la vita gli passa sopra la testa, finché un giorno gli dèi, mossi a compassione, decidono di regalargli la casssetta da pesca… È allora, tenendo tra le mani il dono agognato da una vita, questo personaggio si fa avanti sulla scena, osserva a lungo la cassetta e poi mormora con infinita noia e tristezza: “Non è del verde giusto”.
Non abbiamo mai il coraggio di ridurre a dimensioni umane coloro che il nostro desiderio ha trasformato in ideali.
 Le luci, le voci, le gioie, le speranze e i timori che l’infanzia racchiude in sé. È questo che amiamo, che cerchiamo per tutta la vita. E per un adulto, forse, soltanto l’amore è in grado di restituire un po’ di quest’attesa piena di trepidazione e di speranza… l’amore, intendo, non soltanto il letto e tutto ciò che vi è connesso, bensì i momenti in cui due persone si cercano, l’attesa e la speranza che le attraggono l’una verso l’altra. Io e Judit siamo andati a letto insieme, e ci siamo amati. CI siamo amati con passione, pieni di desiderio, di entusiasmo, di meraviglia, di speranza. Probabilmente speravamo che in questo altrove incontaminato e primordiale, dominio eterno e sconfinato dell’amore, avremmo rimediato a ciò che il mondo e gli uomini avevano rovinato. A una certa età – Jidut e io a quell’epoca pur non essendo vecchi non eravamo più giovani, eravamo un uomo e una donna n el senso più umano e compiuto del termina -, a letto non ci si aspetta più dall’altro il piacere sensuale, la felicità o l’estasi, ma una verità semplice e profonda, che la menzogna e la vanità avevano fino ad allora tenuto nascosta persino nei momenti d’amore: riuscire a essere spontanei, a soprendere noi stessi con il dono meraviglioso del piacere e, nello stesso tempo, nonostante il nostro egoismo e la nostra avidità, essere capaci di dare gioia con pari generosità, senza alcun calcolo, senza secondi fini, con leggerezza, quasi innavertitamente… L’amore era un ritorno a un’infanzia a lei familiare, un’infanzia che era allo stesso tempo luogo natio e festa, la luce rossastra del crepuscolo su un paesaggio e il sapore domestico dei cibi, l’eccitazione dell’attesa, e in fondo a tutto questo la certezza che poi, quando cala la sera e si torna a casa, si torna a casa perché si sta facendo buio e si è stanchi di giocare, e là le luci sono accese, ci aspetta un piatto caldo e un letto pronto. Ecco che cos’era l’amore per Judit.
 La passione non ha niente di festoso. Questa forza truce, che incessantemente crea e distrugge il mondo, non interpella coloro che tocca, non chiede se a loro fa piacere o no, non si preoccupa granché dei sentimenti umani. Dà tutto e tutto pretende; esige uno slancio senza condizioni, alimentato dalla stessa energia primordiale della vita e della morte.
 Il corpo ricorda, sai, per sempre, come il mare e la terra sanno che un tempo erano la stessa cosa.
 Un giorno ho capito che nessuno potrà mai aiutarmi. Il desiderio di amare e di essere amati resta, ma non c’è nessuno che possa essere di aiuto, né mai ci sarà. Una volta compreso questo, si diventa forti e solitari.
 
Voce narrante: il batterista
Certe storie non passano come se niente fosse… Questa foto non è l’unica cosa che mi resta di lei. Mi è rimasto anche altro… la sua voce. E un sacco di fatti che mi ha raccontato. Lei era diversa dalle donne che mi è capitato di incontrare in vita mia. Tutte le altre sono sparite senza lasciare traccia. Ma di questa non mi dimenticherò mai. È durata poco, ma abbastanza per sapere la verità. Perché una notte, quando non c’era ormai più imbarazzo tra di noi, mi ha raccontato tutto. Voleva raccontare a qualcuno la verità, una buona volta in vita sua… o almeno quello che lei credeva che fosse la verità.
 Ho l’impressione che ormai al giorno d’oggi la lotta di classe non infuria più per le strade. Il proletario è ancora proletario, e il signore continua a essere signore. Ma adesso si affrontano in maniera diversa. Sa il diavolo com’è che siamo arrivati a questo punto, ma una volta succedeva che il proletario sgobbava fino a che riusciva a mettere insieme tutto quello che serviva al signore. Adesso invece è il signore che si scervella per trovare il modo per convincere me, il proletario, a consumare tutto quello che produce lui, il borghese.

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