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23 apr 2015

Shared, di Carla Pavone


Mi sentivo come anestetizzata, vivevo quelle ore come se le mie emozioni fossero filtrate da una pellicola di indifferenza che rendeva tutto più sopportabile, perfino l'assenza di qualsiasi contatto umano. I ricordi erano foto sbiadite che si susseguivano come in un film in bianco e nero, non c’erano colori, né suoni, né voci. Sembrava che non avessi vissuto la mia vita fino ad allora, e avevo l’impressione di assistere alla proiezione sul muro dei ricordi della vita di un’altra donna. Era come se dormissi, come se sognassi, forse era l’effetto dei farmaci, non so, ma era tutto attutito, ovattato, impalpabile. Le mie giornate erano scandite dalla porta che si apriva e si chiudeva a orari regolari, dalla poca luce che filtrava dall’esterno e che mi teneva ancorata al tempo ordinario. Come una striscia bianca che delimita una corsia su una strada che scompare nella nebbia, io seguivo l’evolversi delle ore attaccandomi a quei riti quotidiani, e non provavo più nulla, non avevo voglia di niente, se non di perdermi in quell’attesa che non aveva senso, perché rimanendo ferma dov’ero, il mondo intorno a me non sarebbe cambiato.

Foto: anesthesia_by_scissorized.jpg (deviantart.com)

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