Shared, di Carla Pavone
Mi sentivo come anestetizzata, vivevo quelle ore come se le
mie emozioni fossero filtrate da una pellicola di indifferenza che rendeva
tutto più sopportabile, perfino l'assenza di qualsiasi contatto umano. I
ricordi erano foto sbiadite che si susseguivano come in un film in bianco e
nero, non c’erano colori, né suoni, né voci. Sembrava che non avessi vissuto la
mia vita fino ad allora, e avevo l’impressione di assistere alla proiezione sul
muro dei ricordi della vita di un’altra donna. Era come se dormissi, come se
sognassi, forse era l’effetto dei farmaci, non so, ma era tutto attutito,
ovattato, impalpabile. Le mie giornate erano scandite dalla porta che si apriva
e si chiudeva a orari regolari, dalla poca luce che filtrava dall’esterno e che
mi teneva ancorata al tempo ordinario. Come una striscia bianca che delimita
una corsia su una strada che scompare nella nebbia, io seguivo l’evolversi
delle ore attaccandomi a quei riti quotidiani, e non provavo più nulla, non avevo
voglia di niente, se non di perdermi in quell’attesa che non aveva senso,
perché rimanendo ferma dov’ero, il mondo intorno a me non sarebbe cambiato.
Foto: anesthesia_by_scissorized.jpg (deviantart.com)
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