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23 ott 2012

Oceano mare - Alessandro Baricco


La prima cosa è il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene, la quinta quegli occhi straziati, la sesta è la fame, la settima orrore, l’ottava i fantasmi della follia, la nona è carne e la decima è un uomo che mi guarda e non mi uccide.
L’ultima è una vela.
Bianca. All’orizzonte.



La storia di un naufragio è il cuore di un romanzo intorno al quale ruota una molteplicità di personaggi, che rimangono nel ricordo del lettore, ciascuno per la propria indiscutibile originalità.

 


Io dico che...

Sono arrivata a Baricco tramite citazioni lette qui e là, ma ho imparato subito che non c'entrano niente, estratte dal loro contesto, con il libro dal quale sono estratte. Immagini tutt'altro. E di libri ne ho letti solo due libri, sufficienti tuttavia a convincermi che le sue storie e i suoi personaggi non siano mai semplici e banali. 

Oceano mare è talmente bello che l’ho letto due volte, una di seguito all’altra nel giro di una settimana, quasi avessi paura di essermi persa delle piccole perle e così è stato: ho saputo ritrovare frasi, frammenti, che alla prima lettura erano sfuggiti, e che non hanno fatto altro che arricchire il vaso già ricolmo di emozioni che il primo passaggio aveva suscitato in me.

L’orrore del naufragio, che risiede anche fisicamente nel cuore del libro – la seconda parte – è preceduto dalla descrizione di molti personaggi, che si ritrovano ospiti di una locanda quasi misteriosa, che sembra fuori dal tempo: il pittore Plasson, lo scrittore Bartleboom, l’amante Ann Deverià, la giovane e malata Elisewin con il suo accompagnatore Padre Pluche, il marinaio Adams e gli “strani” bambini: Dood che vive sulla finestra, Dira che sembra una donna bambina, Ditz che regala sogni a Padre Pluche e Dol che vede le navi per Plasson, oltre alla bellissima bambina che dorme nella camera di Ann, della quale nulla si sa. 
 
Le loro vite si dispiegano lungo la prima parte, dapprima isolate, poi intrecciandosi l’una con l’altra a formare una trama che il lettore non riesce a capire dove sfocerà. E quella trama sfocia nel mare, nell’ultimo capitolo dove il mare fa da padrone, con le immagini degli isolani con le lanterne, il racconto del naufragio che trova il suo epilogo, i quadri insoliti di Plasson, la morte di uno dei protagonisti e l’ultima immagine della pietra che non si stanca di saltare sull’acqua.
 
Di solito riporto nelle mie recensioni tutti i brani per me significativi, ma per Oceano mare, questo è impossibile. In ogni pagina ricorre un pensiero (nel migliore dei casi!) che mi ha colpito e dovrei ritrascrivere quasi tutte le duecentododici pagine del libro, tanto mi ha travolto. Indubbiamente la parte più lirica è quella centrale, il racconto drammatico del naufragio che sconvolge per l’orrore di scoprire a quanto possa arrivare “un uomo”. Ma tutto il libro è pervaso di parole, frasi e interi paragrafi, che esplodono dalla pagina e rapiscono il lettore, trascinandolo in quella insolita locanda fuori dallo spazio e dal tempo.

Ho provato a scegliere qualche pensiero per ogni aspetto che voglio ricordare, tra i tanti che d’istinto trascriverei qui. E mi prendo la libertà di riportarli non in ordine sequenziale, ricomponendoli come in un puzzle, senza indicazioni [...] per non rendere pesante la lettura interrompendo l’emozione, a partire dalla locanda, per finire ai personaggi, presentato in stretto ordine alfabetico. Escludo qualche personaggio, perchè altrimenti trascrivendo i pezzi più belli vi svelerei il segreto del libro.
 
Leggetelo tutto d’un sorso. Fidatevi! Vi lascerà in bocca il sapore amaro e salato del mare...

Citazioni

La locanda Almayer


In bilico sull’orlo della terra, a un passo dal mare in burrasca, riposava immobile la locanda Almayer; immersa nel buio della notte come un ritratto, pegno di amore, nel buio di un cassetto.

Posata sulla cornice ultima del mondo, a un passo dalla fine del mare, la locanda Almayer lasciava che il buio, anche quella sera, ammutolisse a poco a poco i colori dei suoi muri e della terra tutta e dell’oceano intero. Pareva – lì, così solitaria – come dimenticata. Quasi che una processione di locande, di ogni genere e età, fosse passata un giorno da lì, costeggiando il mare, e tra tutte se ne fosse staccata una, per stanchezza, e lasciatasi sfilare accanto le compagne di viaggio avesse deciso di fermarsi su quell’accenno di collina, arrendendosi alla propria debolezza, chinando il capo e aspettando la fine. Così era la locanda Almayer: aveva quella bellezza di cui solo i vinti sono capaci. E la limpidezza delle cose deboli. E la solitudine, perfetta, di ciò che si è perduto.

E’ un posto strano. La realtà sfuma e tutto diventa memoria. Questo è un posto dove prendi commiato da te stesso. Quello che sei ti scivola addosso, a poco a poco. E te lo lasci dietro, passo dopo passo, su questa riva che non conosce tempo e vive un solo giorno, sempre quello. Il presente sparisce e tu diventi memoria. Sgusci via da tutto, paure, sentimenti, desideri: li custodisci, come abiti smessi, nell’armadio di una sconosciuta saggezza, e di un’insperata pace.

Questa è la riva del mare. Né terra né mare. E’ un luogo che non esiste.
E’ un mondo di angeli.

Ann Deverià

Non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada. Così... Io non è che volevo essere felice, questo no. Volevo... salvarmi, ecco: salvarmi. Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri. Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l’onestà, essere buoni, essere giusti. No. Sono i desideri che salvano. Sono l’unica cosa vera. Tu stai con loro, e ti salverai. Però troppo tardi l’ho capito. Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile: e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male. E’ lì che salta tutto, non c’è verso di scappare, più ti agiti, più si ingarbuglia la rete, più ti ribelli, più ti ferisci. Non se ne esce.

Sai cosa è bello qui? Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia, e loro restano lì, precise, ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un’orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte. La marea nasconde. E’ come se noi non fossimo mai esistiti. Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera. E’ tempo. Tempo che passa e basta.

Uno si costruisce grandi storie, questo è il fatto, e può andare avanti anni a crederci, non importa quanto pazze sono, e inverosimili, se le porta addosso, e basta. Si è anche felici, di cose del genere. Felici. E potrebbe non finire mai. Poi, un giorno, succede che si rompe qualcosa, nel cuore del gran marchingegno fantastico, tac, senza nessuna ragione, si rompe d’improvviso e tu rimani lì, senza capire come mai tutta quella favolosa storia non ce l’hai più addosso... ma davanti, come fosse la follia di un altro, e quell’altro sei tu. Tac: alle volte basta un niente. Anche solo una domanda che affiora. Basta quello.

Avevo una vita che mi rendeva felice, e ho lasciato che andasse in pezzi pur di stare con te. Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti ho amato perchè il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità. E lo sapevo che poi la vita non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che riesce a immaginarsi il desiderio. Ma non ho cercato di fermarmi, nè di fermarti. Sapevo che lo avrebbe fatto lei. E lo ha fatto. E’ scoppiata tutta d’un colpo. C’erano cocci ovunque, e tagliavano come lame. Quel che io sono, è ormai successo: e qui, e ora, vive in me come un passo in un’orma, come un suono in un’eco, e come una enigma nella sua risposta. Non muore, questo no. Scivola dall’altra parte della vita. Mi è impossibile pensare al futuro. Il futuro è un’idea che si è staccata da me. Non è importante. Non significa più nulla. Non ho più occhi per vederlo. Futuro. Il mio è già tutto qui, e adesso. Il mio sarà la quiete di un tempo immobile, che collezionerà istanti da posare uno sull’altro, come se fossero uno solo. Da qui alla mia morte, ci sarà quell’istante, e basta. Non mi ricostruirò nessuna vita, perchè ho appena imparato ad essere la dimora di quella che è stata la mia. Non voglio altro. Le capisco, le tue isole lontane, e capisco i tuoi sogni, i tuoi progetti. Ma non esiste più una strada che mi potrebbe portare laggiù. E non potrai inventarla tu per me, su una terra che non c’è. Perdonami, mio amato amore, ma non sarà mio il tuo futuro.

Bartleboom

Ha 38 anni, Bartleboom. Lui pensa che da qualche parte, nel mondo, incontrerà un giorno una donna che, da sempre, è la sua donna. Ogni tanto si rammarica che il destino si ostini a farlo attendere con tanta indelicata tenacia, ma col tempo ha imparato a considerare la cosa con grande serenità. Quasi ogni giorno, ormai da anni, prende la penna in mano e scrive. Non ha nomi e non ha indirizzi da mettere sulle buste: ma ha una vita da raccontare. E a chi, se non a lei? Lui pensa che quando si incontreranno sarà bello posarle sul grembo una scatola di mogano piena di lettere e dirle -Ti aspettavo. Lei aprirà la scatola e lentamente, quando vorrà, leggerà le lettere una ad una e risalendo un chilometrico filo di inchiostro blu si prenderà gli anni -i giorni, gli istanti- che quell'uomo, prima ancora di conoscerla, già le aveva regalato. O forse, più semplicemente, capovolgerà la scatola e attonita davanti a quella buffa nevicata di lettere sorriderà dicendo a quell'uomo -Tu sei matto. E per sempre lo amerà."

Vedete lì, dove l’acqua arriva... sale sulla spiaggia poi si ferma... ecco, proprio quel punto, dove si ferma... dura proprio solo un attimo, guardate, ecco, ad esempio lì... vedete che dura solo un attimo, poi sparisce, ma se uno riuscisse a fermare quell’attimo... quando l’acqua si ferma, proprio quel punto, quella curva... lì succede qualcosa di straordinario. Lì finisce il mare. Il mare immenso, l’oceano mare, che infinito corre oltre ogni sguardo, l’immane mare onnipotente – c’è un luogo dove finisce, e un istante – l’immenso mare, un luogo piccolissimo e un istante da nulla.

-    Una volta pregavo. Poi ho fatto un calcolo. In otti anni mi ero permesso di chiedere all’Onnipotente due cose. Risultato: mia sorella è morta e la donna che sposerò la devo ancora incontrare. Adesso prego molto meno.
-       Non credo che...
-       I numeri parlano chiaro, Padre Pluche. Il resto è poesia.

Uno si fa dei sogni, roba sua, intima, e poi la vita non ci sta a giocarci insieme, e te li smonta, un attimo, una frase, e tutto si disfa. Succede.

Elisewin

L’anima non è sempre diamante, ma alle volte velo di seta – immagina un velo di seta trasparente, qualunque cosa potrebbe stracciarlo, anche uno sguardo, e pensa alla mano che lo prende – una mano di donna – sì – si muove lentamente e lo stringe tra le dita, ma stringere è già tropo, lo solleva come se non fosse una mano ma un colpo di vento e lo chiude tra le dita come se non fossero dita ma... – come se non fossero dita ma pensieri. Così. Questa stanza è quella mano e mia figlia è un velo di seta.

E’ un po’ come sentirsi morire. O sparire. Ecco: sparire. Sembra che gli occhi ti scivolino via dalla faccia, e le mani diventano come le mani di un altro, e allora tu pensi: cosa mi sta succedendo?, e intanto il cuore ti batte dentro da morire, non ti lascia in pace... e da tutte le parti è come se dei pezzi di te se ne andassero, non li senti più... insomma te ne stai per andare,, e allora io mi dico devi pensare a qualche cosa, devi tenerti aggrappata a un pensiero poi tutto passerà, ma il fatto è che... questo è davvero l’orrore... il fatto è che non ci sono più pensieri, da nessuna parte dentro di te, non c’è più un pensiero ma solo sensazioni, capite? Sensazioni... e quella più grande è una febbre infernale, è un tanfo insopportabile, un sapore di morte qui nella gola, una febbre, e una morsa, qualcosa che morde, un demonio che ti morde e ti fa a pezzi. Alle volte ci sono cose che non mi spaventano. Poi però basta un colore, magari, o la forma di un oggetto, o... o la faccia di un uomo che passa, ecco, le facce... le facce possono essere tremende, non è vero? ci sono delle facce, ogni tanto, così vere, a me sembra che mi saltino addosso, sono facce che urlano, capite cosa voglio dire? ti urlano addosso, è orribile, non c’è modo di difendersi... Io la voglio la vita, la vita, farei qualsiasi cosa per poter averla, tutta quella che c’è, tanta da impazzirne, non importa, posso anche impazzire ma la vita quella non voglio perdermela, io la voglio, davvero, dovesse anche fare un male da morire è vivere che voglio.

Elisewin scese verso il mare nel modo più dolce del mondo, portata dalla corrente, lungo la danza fatta di curve, pause ed esitazioni che il fiume aveva imparato in secoli di viaggi, lui, il grande saggio, l’unico a sapere la strada più bella e dolce e mite per arrivare al mare senza farsi male. Quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume per noi. E qualcuno – un padre, un amore, qualcuno – capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume – immaginarlo, inventarlo – e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio. Questo davvero sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce, la vita , qualunque vita. E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate dalla corrente, si potrebbe prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare. Farsi ferire anche. Morirne. Non importa. Ma tutto sarebbe, finalmente, umano. Basterebbe la fantasia di qualcuno – un padre, un amore, qualcuno. Lui saprebbe inventarla una strada, qui, in mezzo a questo silenzio, in questa terra che non vuole parlare. Strada clemente e bella. Una strada da qui al mare.

Chi l’avrebbe mai detto che baciando gli occhi di un uomo si possa vedere così lontano. Tutto il difficile era stato riconoscersi, riconoscersi, una cosa di un attimo, il primo sguardo e già lo sapevano, questo è il meraviglioso, perchè nessuno possa dimenticare che non si è mai lontani abbastanza per trovarsi, mai.
Come si fa? Come glielo dici, a una donna così, quello che devi dirle, con le sue mani addosso e la sua pelle, la pelle, non si può parlare di morte proprio a lei, come glielo dici a una ragazzina così, quello che lei sa già e che pure bisognerà che ascolti, le parole, una dopo l'altra, che puoi anche sapere ma devi ascoltare, prima o poi, qualcuno deve dirle e tu devi ascoltarle, lei, ascoltarle, quella ragazzina che dice  “Hai degli occhi che non ti ho visto mai.”.
Come glielo dici , a una donna così, che tu vorresti salvarti, e ancora di più vorresti salvare lei con te, e non fare altro che salvarla, e salvarti, tutta una vita, ma non si puo' ognuno ha il suo viaggio, da fare, e tra le braccia di una donna si finisce facendo strade contorte, che neanche tanto capisci tu, e al momento buono non le puoi raccontare, non hai le parole per farlo, parole che ci stiano bene, lì, tra quei baci e sulla pelle, parole giuste, non ce n'é, hai un bel cercarle in quel che sei e in quel che hai sentito, non le trovi, hanno sempre una musica sbagliata, é la musica che gli manca, lì, tra quei baci e sulla pelle, é una questione di musica. Così poi dici, qualcosa, ma è una miseria.
Come glielo dici, a un uomo così, che adesso sono io che voglio insegnargli una cosa e tra le carezze voglio fargli capire che il destino non é una catena ma un volo, e se solo ancora avesse voglia davvero di vivere lo potrebbe fare, e se solo avesse voglia davvero di me potrebbe riavere mille notti come questa invece di quell'unica, orribile, a cui va incontro, solo perché lei lo aspetta, la notte orrenda, e da anni lo chiama.Come glielo dici, a un uomo così, che ti sta perdendo?

- E com’è... il mare com’è?
- Bellissimo
- E poi?
- A un certo punto, finisce.

Langlais, l’Ammiraglio.

Quel nome aveva sperato di non sentirlo mai più, L’aveva tenuto lontano per giorni, mesi. Aveva pochi istanti per impedire che ritornasse, a ferirgli l’anima e i ricordi.

- Sapete una cosa? Avrei detto che gli ammiragli stessero sul mare...
-     - Anch’io avrei detto che i preti stessero nelle chiese.
      - Oh be’, sapete, Dio è dappertutto...
      - Anche il mare, Padre. Anche il mare...

...la sconcertante scoperta di quanto sia silenzioso, il destino, quando d’un tratto esplode.

Padre Pluche


Un pretesto per tornare bisogna sempre seminarselo dietro, quando si parte. Si sa mai...

Preghiera di uno che si è perso, e dunque, a dirla tutta, preghiera per me.
Signore Buon Dio
abbiate pazienza
sono di nuovo io.

Dunque, qui le cose
vanno bene
chi più chi meno,
ci si arrangia,
in pratica, si trova poi sempre il modo
il modo di cavarsela,
voi mi capite,
insomma, il problema non è questo.
Il problema sarebbe un altro,
se avete la pazienza di ascoltare
di ascoltarmi
di.
Il problema è questa strada
bella strada
questa che corre
 e scorre
e soccorre,
ma non corre diritta
come potrebbe
e nemmeno storta
come saprebbe
no.
Curiosamente,
si disfa.
Credetemi
(per una volta voi credete a me)
si disfa.
Dovendo riassumere dovendo,
se ne va
un po' di qua
e un po' di là,
presa da improvvisa
libertà.
Chissà.
Adesso, non per sminuire, ma dovrei spiegarvi questa cosa, che è cosa da uomini, e non è cosa da Dio, di quando la strada che si ha davanti si disfa, si perde, si sgrana, si eclissa, non so se avete presente, ma è facile che non abbiate presente, è una cosa da uomini, in generale, perdersi. Non è roba da Voi. Bisogna che abbiate pazienza e mi lasciate spiegare. Faccenda di un attimo. Innanzitutto non dovete farvi fuorviare dal fatto che, tecnicamente parlando, non si può negarlo, questa strada che corre, scorre, soccorre, sotto le ruote di questa carrozza, effettivamente, volendo attenersi ai fatti, non si disfa affatto. Tecnicamente parlando. Continua diritta, senza esitazioni, neanche un timido bivio, niente. Diritta come un fuso. Lo vedo da me. Ma il problema, lasciatevelo dire, non sta qui. Non è di questa strada, fatta di terra e polvere e sassi, che stiamo parlando. La strada in questione è un'altra. E corre non fuori, ma dentro. Qui dentro. Non so se avete presente: la mia strada.Ne hanno tutti una, lo saprete anche voi, che tra l'altro, non siete estraneo al progetto di questa macchina che siamo, tutti quanti, ognuno a modo suo. Una strada dentro ce l'hanno tutti, cosa che facilita, per lo più, l'incombenza di questo viaggio nostro, e solo raramente, ce lo complica. Adesso è uno dei momenti che lo complica. Volendo riassumere, è quella strada, quella dentro, che si disfa, si è disfatta, benedetta, non c'è più. Succede, credetemi, succede. E non è una cosa piacevole. No.
Così adesso, volendo riassumere volendo, il problema è questo, che ho tante strade intorno e nessuna dentro. So perfettamente qual è la domanda, è la risposta che mi manca.
Così
questo buio
io lo prendo
e lo metto
nelle vostre
mani.
E vi chiedo
Signore Buon Dio
di tenerlo con voi
un’ora soltanto
tenervelo in mano
quel tanto che basta
per scioglierne il nero
per sciogliere il male
quel buio
e nel cuore
quel nero,
vorreste?
Potreste
anche solo
chinarvi
guardarlo
sorriderne
aprirlo
rubargli
una luce
e lasciarlo cadere
che tanto
a trovarlo
ci penso io poi
a vedere
dov’è.
Una cosa da nulla
per voi,
così grande
per me.
Mi ascoltate
Signore Buon Dio?
Non è chiedervi tanto
chiedervi se.
non è offesa
sperare che voi
non è sciocco
illudersi di.
E poi solo una preghiera,
che è un modo di scrivere
il profumo dell’attesa.
Scrivete voi,
dove volete,
il sentiero
che ho perduto.
Basta un segno,
qualcosa,
un graffio
leggero
sul vetro
di questi occhi
che guardano senza vedere,
io lo vedrò.
Scrivete
sul mondo
una sola parola
scritta per me,
la
leggerò.
Sfiorate
un istante
di questo silenzio,
lo sentirò.
Non abbiate paura,
io non ne ho.

E scivoli via
Questa preghiera
Con la forza delle parole
Oltre la gabbia del mondo
Fino a chissà dove.
Amen.

Preghiera di uno che ha ritrovato la sua strada, e dunque, a dirla tutta, preghiera per me.
Signore Buon Dio
abbiate pazienza
sono di nuovo io.

Muore lento,
quest’uomo,
muore lento
come se volesse
gustarsela
sgranarla
sotto le dita
l’ultima vita
che ha.
Uno prega per non rimanere solo
uno prega
per tradire l’attesa,
mica si sogna che
Dio
A Dio
gli piaccia sentire.
non è pazzesco?
Mi avete sentito.
Mi avete salvato.

Certo, se posso permettermi, avrei capito anche con molto meno, vi succede ogni tanto di strafare o sbaglio? Amen.

Plasson


 - Vi prego, non muovetevi – dice.
Poi avvicina il pennello al volto della donna, esita un attimo, lo appoggia sulle sue labbra e lentamente lo fa scorrere da un angolo all’altro della bocca. Le setole si tingono di rosso carminio. Lui le guarda, le immerge appena nell’acqua e rialza lo sguardo verso il mare. Sulle labbra della donna rimane l’ombra di un sapore che la costringe a pensare “acqua di mare, quest’uomo dipinge il mare con il mare” – ed è un pensiero che dà i brividi.
E’ difficile capire dove iniziare. Quando facevo ritratti alla gente iniziavo dagli occhi. Dimenticavo tutto il resto e mi concentravo sugli occhi, li studiavo, per minuti e minuti, poi li abbozzavo, con la matita, e quello era il segreto, perchè una volta che avete disegnato gli occhi... (stop). Tutto il resto viene da sé, è come se tutti gli altri pezzi scivolassero da soli intorno a quel punto iniziale, non c’è nemmeno bisogno di... (stop). Il problema è: dove cavolo sono gli occhi del mare? Non riuscirò mai a combinare nulla finchè non lo scoprirò, perchè quello è il principio, capite?
      - Le navi sono gli occhi del mare.
      - Ma ce n’è a centinaia di navi...
      - Ha centinaia di occhi lui. Non vorrete mica che se la sbrighi con due...
      - E i naufragi? Le tempeste, i tifoni, tutte quelle cose lì... Perchè mai dovrebbe ingoiarsi quelle navi, se sono i suoi occhi?
      - Ma voi... voi non li chiudete mai gli occhi?


Se il mare non lo si può più benedire, forse, lo si può ancora dire.

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