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18 mar 2013

Il sorriso imperfetto - Capitolo 28

Uno si costruisce grandi storie, questo è il fatto, e può andare avanti anni a crederci, non importa quanto pazze sono, e inverosimili, se le porta addosso, e basta. Si è anche felici, di cose del genere. Felici. E potrebbe non finire mai. Poi, un giorno, succede che si rompe qualcosa, nel cuore del gran marchingegno fantastico, tac, senza nessuna ragione, si rompe d’improvviso e tu rimani lì, senza capire come mai tutta quella favolosa storia non ce l’hai più addosso... ma davanti, come fosse la follia di un altro, e quell’altro sei tu. Tac: alle volte basta un niente. Anche solo una domanda che affiora. Basta quello.
Avevo una vita che mi rendeva felice, e ho lasciato che andasse in pezzi pur di stare con te. Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti ho amato perchè il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità. E lo sapevo che poi la vita non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che riesce a immaginarsi il desiderio. Ma non ho cercato di fermarmi, nè di fermarti. Sapevo che lo avrebbe fatto lei. E lo ha fatto. E’ scoppiata tutta d’un colpo. C’erano cocci ovunque, e tagliavano come lame. Quel che io sono, è ormai successo: e qui, e ora, vive in me come un passo in un’orma, come un suono in un’eco, e come una enigma nella sua risposta. Non muore, questo no. Scivola dall’altra parte della vita. Mi è impossibile pensare al futuro. Il futuro è un’idea che si è staccata da me. Non è importante. Non significa più nulla. Non ho più occhi per vederlo. Futuro. Il mio è già tutto qui, e adesso. Il mio sarà la quiete di un tempo immobile, che collezionerà istanti da posare uno sull’altro, come se fossero uno solo. Da qui alla mia morte, ci sarà quell’istante, e basta. Non mi ricostruirò nessuna vita, perchè ho appena imparato ad essere la dimora di quella che è stata la mia. Non voglio altro. Le capisco, le tue isole lontane, e capisco i tuoi sogni, i tuoi progetti. Ma non esiste più una strada che mi potrebbe portare laggiù. E non potrai inventarla tu per me, su una terra che non c’è. Perdonami, mio amato amore, ma non sarà mio il tuo futuro.
(Ann Deverià - Oceano Mare, Alessandro Baricco)


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«Io volevo amarlo, io lo amavo. Gli avevo offerto tutto il mio amore, il mio tempo, quello che ero e che potevo essere. Non volevo cambiarlo e sapevo che lui mi avrebbe accettato così come ero. Era il mio specchio, era il mio riflesso nel quale mi riconoscevo, quello che sapevo potermi comprendere solo con uno sguardo, senza parole. Quello che rifletteva i miei pensieri e le mie azioni ancora prima che si formassero nella mia mente e nel mio corpo. Mi ero offerta a lui senza limiti, senza paure.
Perché mio Dio, perché? Perché non ci fai muti e sordi ai battiti del cuore. Perché non ci rendi insensibili ad uno sguardo, sordi a chi con le parole sa arrivare alla settima porta del nostro cuore. Perché non ci leghi le mani quando siamo accarezzati. Perché non ci avveleni la bocca invece di sciogliere sulle nostre labbra il miele dei baci. Perchè non pieghi il nostro sorriso in una smorfia e immetti malinconia nei nostri occhi allegri. Perché non ci spingi al di fuori del campo dove l’amore è lotta e dà pace. Perché non ci armi di scudi e non ci proteggi in torri dorate, ove possiamo essere soli e nessuno può violare quello che siamo davvero. Perchè non hai lasciato che mi uccidesse anche nel corpo, oltre che nell’anima e lo hai lasciato a guardarmi da lontano e a ridere di me? Perchè? Dimmi perché...»
Viola alzò gli occhi dal libro scioccata da quella voce forte nella quale riconosceva quella di sua madre, fino a un attimo prima ferma ed immobile in un sonno che aveva dell’eterno ogni caratteristica di staticità e freddezza. L’aveva toccata ancora nel profondo e lasciò scorrere le pagine del libro verso terra, per correre verso di lei ed abbracciarla e prendersi carico di tutto quel dolore che stava riversando accanto a lei, che sporcava di sangue le pareti e di fango le lenzuola nitide e profumate. Dov’era stata quando sua madre impazziva, dov’era stata quando avrebbe potuto consolarla, offrirle lo stesso abbraccio che lei le aveva rivolto quando era piccola. Non poteva perdonarsi di non aver saputo riconoscere quanto amore ci poteva essere inascoltato in quella donna. Non poteva più perdonarsi e non si sarebbe mai più perdonata di essere andata via.

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