«Garrett era identico a me
sotto un certo punto di vista. Amava annusare la vita e quando si stancava di
un odore, ne cercava altri di cui soddisfarsi. Si era semplicemente stancato di
me, del mio odore, tutto qui. Non gliene faccio una colpa. Gli rimprovero
soltanto di non avermi parlato delle sue sensazioni quando sono nate, perché quelle sensazioni le senti
chiare, non hai dubbi. E lui non ne ha avuto il coraggio. Ho dovuto scoprirlo
io. Non poteva ferirmi lui, non se lo sarebbe perdonato: ha lasciato che
facessi da sola, ha lasciato da un lato che io continuassi a credere che lui
potesse ritornare a me, e dall’altro che intuissi e gli chiedessi conto del suo
comportamento incoerente, fino al punto in cui non ha più potuto negare il suo
sporco gioco. È questa distonia che ci ha allontanato, il suo assumere
comportamenti innaturali rispetto a quello che io credevo, il suo discostarsi
lentamente da me. Io riuscivo a percepirla, lui l’ha sempre negata, fino a un
certo punto.
Lui amava le donne e non ne
aveva una sola. Ne aveva avute sempre molte. Aveva la ex moglie, che curava la sua
normalità, il suo bisogno di avere una famiglia intorno. Aveva il suo antico
amore, al quale dedicava le poesie, le parole scelte, l'illusione del sogno.
Aveva molte amiche online, e io non gli ho mai perdonato, questo sì, di avere
con loro la stessa intimità che aveva con me all'inizio. Io lo percepivo e ne
ero gelosa. Non pensavo mi tradisse, ma mi addolorava profondamente vedere
quello scambio di messaggi, talvolta superficiale, talvolta profondo. Con me
aveva smesso di essere profondo. A me rimaneva solo il sesso. Soddisfacevo il
suo bisogno di sentirsi accettato anche fisicamente, di entrare in me e
sentirmi sua, possedermi e sapere che io ero lì, quando mi chiamava. Io gli
davo un assaggio dello stesso sentimento che il suo antico amore poteva dargli,
senza chiedergli di pagarlo ad alto prezzo; e dall’altra parte gli passavo
sesso che per lui sarebbe stato troppo umiliante cercare altrove, servito sul
piatto d’argento della donna innamorata e talmente stupida da mettere da parte
il proprio orgoglio per lui.
Per me questo ruolo è
diventato umiliante, non appena è stato spogliato del poco sentimento che
almeno all’inizio c’era, non appena è stato privato di quella intimitá unica
che si crea tra due persone. Diceva di volermi bene, ma mi chiedevo che razza
di bene fosse questo. Mi parlava della sua famiglia, del suo lavoro, ma non dei
suoi pensieri. Quelli erano riservati alle gallinelle del suo pollaio che
sentiva in chat di notte, nel chiuso della sua stanza. Io non ero oramai che un
corpo da scopare. E quando capitava che parlasse d’amore con me, il soggetto
era sempre un’altra, mai io.
Trovarmi davanti quella
donna, la sera che ero andata da lui per dirglielo, sperando che mi prendesse
tra le braccia e mi dicesse che mi sbagliavo, è stato umiliante. Non so se
fosse lì per far sesso, e adesso non mi interessa più. E’ un’oca come tante e
per quanto le tiri il collo, un’oca non diventerà mai cigno... Quello che mi ha
ferito era tutto il contorno: era vedere che lì con lui c'era un'altra al posto
che io volevo occupare, era vedere l'imbarazzo che tradisce la scoperta di
qualcosa che voleva tenermi nascosto, forse perché sapeva come la pensassi e
sapeva mi avrebbe fatto male. Era il vederlo in gabbia, lui, animale e predatore
abituato ad essere libero. Era scoprire la sua vigliaccheria nel nascondere
fino alla fine le sue bugie. Mi ha sconvolto. Mi ha messo di fronte
all'evidenza della meschinità alla quale io stessa ero arrivata, al punto di
accettare di diventare la sua geisha. Voleva che restassi, che accettassi la
sua storia con un’altra e rimanessimo amici, forse per fargli da appiglio se
fosse fallita, forse perchè se me ne fossi andata si sarebbe sentito vigliacco
e colpevole. Sapevo benissimo che non rischiava di sentirsi così, lui che si è
sempre cullato delle balle che si raccontava, per convincersi di avere la
coscienza pulita e sentirsi un eroe.
Tesoro mio, è stata una
profonda ferita al mio orgoglio.
Il resto, lo sai: ho chiuso
tutto. Sono partita. Sono andata via, non per scappare da lui, ma per schivare
l'ordinarietà e riuscire a sentirmi ancora una volta straordinaria, per me. C’è
ancora qualcosa che non ricordo... L’ultima immagine che ho è il suo viso
arrabbiato, con dietro il riflesso nello specchio del ghigno patetico sullo
sguardo di lei, una donna sfatta dalla vita, sola, superficiale e gretta, oca
tra tante. E’ per lei che mi stava lasciando? Che se la tenesse pure quel
rottame umano travestito da signora per bene...
Scesi le scale di corsa,
arrancando per il respiro rotto fra le lacrime, giurando a me stessa che non
sarei più stata umiliata così nella mia vita. Aprii il portone. Pioveva a
dirotto. Sembrava la scena di un film. L’acqua scrosciava e non tentai neppure
di ripararmi andando verso la macchina. Aprii lo sportello con le mani che
tremavano, girai la chiave e accesi il motore. Ero bagnata fradicia, le gocce
che scendevano dai capelli si mischiavano alle lacrime. I tergicristalli
riuscivano a stento a pulirmi il vetro dall’acqua di fuori, ma quella che
appannava i miei occhi continuava ad annebbiarmi la vista. Staccai la frizione
e partii. Dopo di che il mio ricordo successivo è quello di un fantasma di me
stessa, seduta su un marciapiede, ubriaca fradicia, sotto la pioggia, con i
fari delle macchine che illuminavano il mio viso perso nel dolore. Credo sia
quello il momento in cui ho deciso di partire.»
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