the_stare_by_darkangelgirl19-d5k9ce2.jpg (deviantart.com) |
«Uomini. Esistono quelli “giusti”, quelli che sanno
prenderti e portarti su in cielo con un dito, e, una volta lassù, sanno
circondarti di attenzioni da toglierti il fiato. Li ho anche incontrati, ma li
ho persi, perchè me ne sono stancata, non li ho saputi trattenere a me, avvolta
dall’aspirazione verso una passione che mi poteva sconvolgere, che mi esaltava
e mi annebbiava la vista, togliendomi il respiro. E abbandonata la strada
giusta che mi avrebbe salvata, mi sono dannata, brancata da una specie che è
tutt’altro che rara, quella parte della metà dell’umanità che ha saputo
ingannarmi nel profondo. Buffi folletti che mi ronzavano intorno raccontandomi
bugie, implorando di creder che loro – no! - non erano come tutti gli altri:
loro erano “diversi”. Deve esistere qualcosa nel loro cervello bacato, un elemento
chimico magico e unico che consente loro di riuscire a scindere l’amore dal
sesso. L’amore me lo hanno negato, il sesso lo hanno cercato ed io sono stata
perfino contenta di essere la loro preda. Si sono appostati ad una giusta
distanza e hanno studiato le mie mosse. Nel tempo hanno imparato che era
opportuno farmi credere che di me, per quanto il mio corpo li affascinasse, e
non potevano negarlo, importava anche il mio cervello ed il mio cuore. E su
questo hanno costruito strategie di attacco, passando il tempo a parlare con me,
per testimoniarmi che non mentivano. Nella loro menzogna, qualcuno si è finto
poeta, qualcuno guerriero, qualcuno pittore, qualcuno musicante. Hanno adottato
l’arte come trasfigurazione del loro unico intento. Mi hanno avvisato che nella
loro nobile natura si annidava un feroce predatore: lupi, leoni, falchi,
giaguari. Mi hanno invitato a non sfidarli in quella loro natura crudele, pur
implorandomi di non averne paura, perchè per loro io ero diversa e non volevano
farmi del male. Si sono dichiarati amici, e nella loro falsità hanno persino dichiarato
di volermi bene. Guerrieri a difesa della mia persona, hanno saputo con
discrezione denigrare tutti coloro che non mi avevano valorizzata e capita. Ma
non erano né poeti, né guerrieri, né pittori, né musicanti: la loro arte era
solo la magia ed il filtro magico che hanno saputo sapientemente adottare, ha
vinto le mie difese e alla fine mi hanno incantata. Mi cercavano per
chiacchierare, nascondendo bene dietro le parole le loro più basse intenzioni. Si
sentivano potenti, esclusi dalla cerchia di coloro che mi aveva fatto soffrire.
Si sono erti a giudici della mia vita, unici scopritori del mio vero essere,
per il solo bisogno di sentirsi unici nel loro genere, straordinari. E devo
dare loro atto che ci hanno saputo fare, perchè alla fine mi hanno fatto
sentire speciale.
Quando ho cominciato a farmi
domande, è stato sempre troppo tardi: avevo oramai già da un pezzo preso la
zappa e iniziato a scavare la mia fossa, a volte ero già dentro, per metà, invischiata
in un amore nel quale mi ero imposta di non entrare. Devo dare atto che sono
sempre stati bravi, che hanno mantenuto con freddezza e lucidità il percorso
per raggiungere il loro vile scopo: hanno saputo aspettare, attendendo per mesi
che abbassassi le difese, e decidessi di aprire la porta che avevo tenuto
chiusa con il mio corpo, quello stesso che alla fine avevo deciso di offrire
loro insieme a tutto il resto che già avevo dato loro: l’anima ed il cuore.
Come ogni gioco, alla fine si
sono stancati e si sono rivolti ad altre prede. Un’altra bambolina da
rincorrere, più interessante finchè anch’essa non cede. L’attimo in cui si sono
stancati è sempre coinciso con il momento in cui ho rotto quel confine nello
spazio che loro non volevano oltrepassassi, quello del richiedere loro un
impegno più serio e ho iniziato a tempestarli delle mie emozioni, delle mie
parole, di sentimenti che loro non intendevano accettare, perchè non era nel
loro piano: loro hanno sempre voluto il mio corpo e se non lo avevo compreso e
mi ero illusa, era soltanto un problema mio. Non potevo nemmeno imputare loro
qualche colpa, perchè spesso erano stati sinceri, mi avevano avvisato. Non sono
uomini capaci di prendersi le proprie responsabilità. Si svestono delle
pellicce di lupi e leoni e si tolgono le ali di falco. E nella loro nudità, si
mostrano quali sono, “quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle
pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella
delle anatre...”[1] Li ho sorpresi a
rincorrere la prima oca che passava, e mi sono asciugata la fronte dal sudore,
ringraziando il cielo di averla scampata.
Tutto il dolore di questo
mondo mi è servito solo a credere che io non sono disposta ad accettare nei
miei confronti lo stesso ardore che questi uomini mostrano verso il loro cane,
che non sono disposta a scondinzolare per rafforzare il loro orgoglio di
sentirsi uomini. Hanno sempre negato di avermi trattato come una puttana,
perchè ritengono di avere accompagnato quell’aggrovigliarsi dei corpi con
qualche sentimento di affetto, ma la banalità di quelle scuse ha solo aggravato
quella sensazione di aver venduto la mia anima ed il mio cuore insieme al mio
corpo, e mi ha fatto sentire ogni volta più stupida, per non essere riuscita a
comprendere in tempo di quale razza di animale fosse la persona che avevo di
fronte. Non mi hanno mai mentito in una cosa: non erano uomini, erano bestie,
predatori della peggior specie, incapaci di elevare il loro stato animale al
rango di “uomini”, che si sanno negare il piacere del sesso, quando non è
accompagnato da un sentimento più elevato.
Così alla fine non ci credo più.
Rido davanti a chi per l’ennesima volta si spaccia diverso dagli altri, rido
davanti a chi mi parla volendo farmi sentire speciale. Non ci credo più, non voglio
crederci più. Mi sono rinchiusa per l’ultima volta dentro la settima porta del
cuore, rantolando ancora, oramai senza nemmeno più la speranza che qualcuno mi
raccolga sul sentiero. Chi poteva salvarmi è già passato: ho avuto la mia
occasione, perduta nello stesso istante in cui il mio matrimonio è fallito, per
quella mia assurda pretesa di voler cercare l’amore assoluto.
Forse mi sono sbagliata, forse
l’amore non è quello che dura lo spazio di una passione. Ma se anche fosse
così, io non sono mai stata pronta per quel salto rappresentato dall’amore
infinito, al quale so di aspirare, quello che fa morire quando l’altro non c’è,
quello che vive dei gesti di ogni giorno, che si alimenta al quotidiano
guardarsi e scambiarsi la vita, che si innaffia dei sorrisi e delle piccole
dolcezze. A quell’amore basta poco per crescere, e invece io ho ancora bisogno
assurdamente di superare ogni giorno il limite stesso delle mie emozioni, di credere
di poter così raggiungere l’infinito ogni istante. Non sono ancora pronta, devo
ancora crescere, devo riuscire ad amare me stessa almeno un po’ per superare quello
che credo amore, ma è solo passione. Ed è giusto che ora io soffra, perchè questa
sofferenza e questo dolore mi aiuteranno. In qualche modo mi aiuteranno: perchè
o mi faranno crescere per diventare degna di quel mondo superiore di uomini che
davvero sanno cosa vuol dire amare, o impazzirò e, nella mia pazzia, forse un
giorno riuscirò a vedere la verità.»
[1]
Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta.
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