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2 ott 2011

L’eleganza del riccio - Muriel Barbery



“Madame Michel ha l’eleganza del riccio: fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti

Una portinaia, all'apparenza sciatta, scorbutica e teledipendente, assiste allo scorrere della vita in un palazzo elegante abitato da famiglie dell'alta borghesia. Ma all'insaputa di tutti Renée è una coltissima autodidatta che incontrerà Paloma, una dodicenne geniale e brillante che stanca di vivere ha deciso di farla finita




L’Infanzia

Sogni le stelle nella boccia dei pesci rossi (Paloma)

A quanto pare, ogni tanto gli adulti si prendono una pausa per sedersi a contemplare il disastro della loro vita. [...] Non sopporto questa finta luciditá dell'etá matura. La verità è che [gli adulti] sono come tutti gli altri, ragazzini che non capiscono cosa sia successo e che giocano a fare i duri mentre avrebbero voglia di piangere. Eppure non è così difficile da capire. Il problema è che i bambini credono ai discorsi dei grandi e, una volta grandi, si vendicano ingannando a loro volta i figli. «La vita ha un senso e sono gli adulti a custodirlo» è la bugia universale cui tutti sono costretti a credere. Da adulti, quando capiamo che non è vero, è troppo tardi. Il mistero rimane, ma tutta l'energia disponibile è andata da tempo sprecata in stupide attività. Non resta che cercare di anestetizzarsi, nascondendo il fatto che non riusciamo a dare un senso alla nostra vita e ingannando i nostri figli per cercare di convincere meglio noi stessi. La gente crede di inseguire le stelle e finisce come un pesce rosso in una boccia. Mi chiedo se non sarebbe più semplice insegnare fin da subito ai bambini che la vita è assurda. Questo toglierebbe all'infanzia alcuni momenti felici, ma farebbe guadagnare un bel po' di tempo all'adulto - senza contare che si eviterebbe almeno un trauma, quello della boccia.

[...] Io ho dodici anni, abito al numero 7 di rue de Grenelle in un appartamento da ricchi. I miei genitori sono ricchi, la mia famiglia è ricca, e di conseguenza mia sorella e io siamo virtualmente ricche. [...] Nonostante ciò, nonostante tutta questa fortuna e tutta questa ricchezza, da molto tempo so che la meta finale è la boccia dei pesci.

[...] Una cosa è certa, nella boccia io non ci vado.

[...] E così ho preso una decisione. Presto lascerò l’infanzia e, nonostante sia certa che la vita è una farsa, non credo di poter resistere fino alla fine. In fondo siamo programmati per credere a ciò che non esiste, perchè siamo esseri viventi e non vogliamo soffrire. Allora cerchiamo con tutte le forze di convincerci che esistono cose per le quali vale la pena di vivere e che per questo la vita ha un senso. Pur essendo molto intelligente, non so quanto tempo ancora potrò lottare contro questa tendenza biologica. Quando entrerò anch’io nella corsa degli adulti, sarò ancora in grado di affrontare la percezione dell’assurdo? Non credo. Per questo ho preso una decisione: alla fine dell’anno scolastico, il giorno dei miei tredici anni, il 16 giugno prossimo, mi suicido.

Di guerre e di colonie (Renée)

La mia gioventù di studentessa si è interrotta alla quinta elementare. [...] Per chi ignora l’appetito, il morso dela fame è al contempo una sofferenza ed un’illuminazione. Ero una bambina apatica e pressocchè invalida, con la schiena curva tanto da sembrare gobba, e mi mantenevo in vita solo perchè ignoravo l’esistenza di altre vite. La mia assenza di interesse sconfinava el nulla; non c’era niente che mi svegliasse, e, facile fuscello sballottato a piacimento da onde misteriose, ignoravo perfino il desiderio di farla finita.

A casa nostra non parlavamo molto. I bambini urlavano e gli adulti assolvevano ai loro doveri come se fossero stati soli. Mangiavamo abbastanza, sebbene in modo frugale, non ci maltrattavano e i nostri vestiti da poveri erano puliti e rabberciati saldamente in modo tale che, se da una parte potevamo vergognarcene, dall’altra non pativamo il freddo. Ma tra noi non parlavamo.

La Vita

Fammi sapere cosa bevi e leggi a colazione e io posso sapere veramente chi sei tu (Paloma)

Nel nostro universo la vita umana è vissuta così: occorre ricostruire continuamente la propria identità di adulti, un fragilissimo assemblaggio sbilenco e effimero che maschera la disperazione e racconta a sé stesso, davanti allo specchio, la menzogna alla quale abbiamo bisogno di credere. [...] Ma a che prezzo! A che prezzo conduciamo questa esistenza falsa! Quando sopraggiunge una crisi e cadono le maschere – e una crisi sopraggiunge sempre tra i mortali – la verità è terribile!

Commedia fantasma (Renée)

Come scorre la vita dunque? Giorno dopo giorno ci sforziamo con risolutezza di fare la nostra parte in questa commedia fantasma. Da primati quali siamo, la nostra attività consiste essenzialmente nel mantenere e curare il nostro territorio affinché ci protegga e ci soddisfi, nell’arrampicarci o almeno non scendere nella scala gerarchica della tribù, e nel fornicare in tutti i modi possibili – foss’anche con la fantasia – sia per il piacere che per la discendenza promessa. Allo stesso modo usiamo una parte non trascurabile della nostra energia per intimidire o sedurre, poiché queste due strategie da sole assicurano la brama territoriale, gerarchica e sessuale che anima il nostro conatus. Ma niente di tutto ciò raggiunge la nostra coscienza. Parliamo di amore, di bene e di male, di filosofia e di civiltà, e ci attacchiamo a queste rispettabili icone come una zecca assetata al suo cagnolone caldo.

Tuttavia, talvolta la vita ci pare una commedia fantasma. Come strappati da un sogno, ci guardiamo agire e, raggelati nel constatare il dispendio vitale necessario a conservare i nostri requisiti primitivi, ci chiediamo sbigottiti cosa ne è dell’Arte. D’improvviso le nostre smorfie frenetiche ci sembravano il colmo dell’insensatezza, la nostra casetta confortevole, frutto di un debito ventennale, una vana usanza barbara e la nostra posizione nella scala sociale, tanto dura da conquistare, e così eternamente precaria, una logora vanità. Riguardo alla nostra discendenza, la contempliamo con occhio nuovo e inorridito, perchè, senza gli abiti dell’altruismo, l’atto della riproduzione appare profondamente fuori luogo. Restano solo i piaceri sessuali; ma trascinati nel fiume della miseria primigenia, vacillano come tutto il resto, perchè la ginnastica senza amore non rientra nel quadro delle nostre lezioni imparate a memoria.

L’eternità ci sfugge.

Nei giorni in cui tutte le credenze romantiche, politiche, intellettuali, metafisiche e morali che anni di istruzione ed educazione hanno tentato di imprimere in noi crollano sull’altare della nostra natura profonda, la società, territorio attraversato da grandi onde gerarchiche, affonda nel nulla del Senso.

[...] In quei giorni avete disperatamente bisogno d’Arte. Aspirate ardentemente a riavvicinarvi all’illusione spirituale, desiderate appassionatamente che qualcosa vi salvi dal destino biologico, affinché la poesia e la grandezza non siano del tutto estromesse da questo mondo.

L’Arte e la Letteratura

Rjabinin (Renée)

Quando sono angosciata, mi ritiro nel mio rifugio. Non c’è nessun bisogno di viaggiare; mi basta raggiungere le sfere della mia memoria letteraria ed il gioco è fatto. Quale distrazione più nobile, quale compagnia più amena, quale trance più deliziosa di quella letteraria. O no?

[...] E’ ciò che succede in tanti momenti felici della nostra esistenza. Sollevati dal fardello della decisione e dell’intenzione, navigando nei nostri mari interiori, assistiamo ai nostri movimenti come fossero le azioni di un altro e tuttavia ne ammiriamo l’involontaria eccellenza. [...] Quando le righe diventano demiurghe di sé stesse, quando assisto, come un miracoloso insaputo, alla nascita sulla carta di frasi che sfuggono alla mia volontà e che si imprimono sul foglio mio malgrado, esse mi fanno conoscere quello che non sapevo nè credevo di volere, gioisco di questo parto indolore, di questa evidenza non calcolata, e del fatto che seguo senza fatica nè certezza, con la felicità delle meraviglie sincere, una penna che mi guida e mi porta.

Allora accedo, nella piena padronanza di me stessa, a un oblio che confina con l’estasi e assaporo la beata quiete di una coscienza spettatrice.

Una esistenza senza durata (Renée)

A che cosa serve l’Arte? A darci la breve ma folgorante illusione della camelia, aprendo nel tempo una breccia emotiva che non si può ridurre alla logica animalesca. Come nasce l’Arte? E’ generata dalla capacità propria dello spirito di scolpire la sfera sensoriale. Che cosa fa l’Arte per noi? Dà forma e rende visibili le nostre emozioni e, così facendo, conferisce loro quell’impronta di eternità che recano tutte le opere le quali, attraverso una forma particolare, sanno incarnare l’universalità degli affetti umani.

L’impronta dell’eternità... [...] Non possiamo smettere di desiderare, e questo ci esalta e ci uccide al contempo. Il desiderio! Ci sostiene e ci crocifigge, portandoci ogni giorno sul campo di battaglia dove ieri abbiamo perso ma che, nel sole di un’altra giornata, ci sembra nuovamente un terreno di conquista; e anche se domani moriremo, il desiderio ci fa erigere imperi destinati a diventare polvere, come se la consapevolezza che presto cadranno non riguardasse la sete di edificarli ora; ci infonde l’energia di volere sempre quello che non possiamo possedere e ci getta all’alba sull’erba disseminata di cadaveri, affidandoci fino alla morte progetti che appena compiuti subito rinascono. Ma è così estenuante desiderare incessantemente... Ben presto aspiriamo ad un piacere senza ricerca, sognamo una condizione felice che non abbia nè inizio nè fine e in cui la bellezza non sia più finalità nè progetto, ma divenga la certezza stessa della nostra natura. Ebbene, questa condizione è l’Arte. [...] L’Arte è l’emozione senza desiderio.

Presente e Futuro

Scordi il futuro ti lascerai sfuggire il tuo presente (Paloma)

Non bisogna dimenticare i vecchi con i corpi putrefatti, i vecchi vicinissimi alla morte a cui i giovani non vogliono pensare (e così affidano ala casa di riposo il compito di accompagnare i genitori alla morte per evitare scenate o seccature), la gioia insistente di quelle ultime ore che bisognerebbe gustare fino in fondo, e che invece subisci rimuginando nella noia e nell’amarezza. Non bisogna dimenticare che il corpo deperisce, che gli amici muoiono, che tutti ti dimenticano e che la fine è solitudine. E neppure bisogna dimenticare che quei vecchi sono stati giovani, che il tempo di una vita è irrisorio, che un giorno hai vent’anni ed il giorno dopo ottanta. [...] Io ho capito molto presto che la vita passa in un baleno guardando gli adulti attorno a me, sempre di fretta, stressati dalle scadenza, così avidi dell’oggi per non pensare al domani... In realtà temiamo il domani solo perchè non sappiamo costruire il presente, e quando non sappiamo costruire il presente ci illudiamo che saremo capaci di farlo domani, e rimaniamo fregati perchè domani finisce sempre per diventare oggi, non so se ho reso l’idea.

Quindi non bisogna affatto dimenticare. Occorre vivere con la certezza che invecchieremo e che non sarà nè bello nè piacevole nè allegro. E ripetersi che ciò che conta è adesso: costruire ora qualcosa , a ogni costo, con tutte le nostre forze.

[...] Ecco a cosa serve il futuro: a costruire il presente con veri progetti di vita.

Emozioni

Fuori dal tempo (Renée)

Sotto la campana di vetro cadono i fiocchi di neve.

Quella piccola sfera si materializza davanti agli occhi della mia memoria, sulla scrivania di Mademoiselle, la mia maestra, prima di passare alla classe dei grandi, con monsieur Servant. Quando eravamo stati bravi, potevamo capovolgerla e tenerla nell’incavo della mano finchè non cadeva l’ultimo fiocco di neve ai piedi della torre Eiffel cromata. Non avevo nemmeno sette anni e già sapevo che la lenta melopea dei corpuscoli ovattati prefigurava ciò che prova il cuore durante una grande gioia. La durata rallenta e si dilata, nell’assenza di urti il balletto diventa eterno e, quando l’ultimo fiocco si posa, sappiamo di aver vissuto quel “fuori dal tempo” che è il segno delle grandi illuminazioni. Da bambina spesso mi chiedevo se mi sarebbe stato concesso vivere istanti simili, stare al centro del lento e maestoso balletto dei fiocchi di neve, strappata finalmente alla triste frenesia del tempo.

Ci si sente così a rimanere nudi? Privato il corpo degli abiti, la mente resta tuttavia ingombra di ornamenti. Ma l’invito di monsieur Ozu aveva suscitato in me quella sensazione di nudità completa che è propria solo dell’anima e che, avvolta da fiocchi di neve, adesso mi provocava nel cuore una sorta di delizioso bruciore.

Lo guardo.

E mi getto nell’acqua nera, profonda, gelida e incantevole del “fuori dal tempo”.

A piccoli sorsi felici (Renée)

E’ un fuori dal tempo nel tempo... Quand’è stata la prima volta che ho provato questo incantevole abbandono, possibilmente solo in due? La quiete che avvertiamo quando siamo soli, la sicurezza di noi stessi nella serenità della solitudine non sono niente in confronto al saper abbandonarsi, al saper aspettare e al saper ascoltare che si vivono con l’altro, in una complice compagnia...

Un “sempre” nel “mai”

Ma cosa fare dinanzi a un mai più se non cercare ininterrottamente nelle furtive note? (Paloma)

Madame Michel è morta stamattina. [...] Ma ora, per la prima volta, sono stata male, tanto male. Un pugno nello stomaco, senza respiro, il cuore in poltiglia, lo stomaco completamente spappolato. Un dolore fisico insopportabile. Mi sono chiesta se mai un giorno potrò rimettermi da questo dolore. Volevo urlare dal dolore. Ma non ho urlato. Adesso la sofferenza c’è ancora, ma non mi impedisce più di camminare o di parlare, mentre provo una sensazione di impotenza e assurdità totali. Allora è proprio così? Di colpo svaniscono tutte le possibilità? Una vita piena di progetti, di discussioni, appena abbozzate, di desideri ancora non esauditi si spegne in un secondo, e non rimane più niente, non c’è più niente da fare, non si può più tornare indietro?

Per la prima volta in vita mia ho sperimentato il senso delle parole mai più. Beh, è una cosa terribile. La pronunciamo cento volte al giorno, ma non sappiamo cosa stiamo dicendo se non ci siamo ancora confrontati con un vero “mai più”. In fondo ci illudiamo sempre di poter controllare ciò che accade; nulla ci sembra definitivo. [...] Ma quando qualcuno a cui vuoi bene muore... allora posso dire che capisci cosa significa, ed è una cosa che fa molto male. E’ come un fuoco d’artificio che si spegne di colpo e tutto diventa nero.

[...] Io e Kakur siamo scesi in guardiola. Ma attraversando il cortile, ci siamo fermati di colpo tutti e due nello stesso istante: qualcuno si era messo al piano e sentivamo benissimo quello che stava suonando. [...] Ci siamo fermati di colpo tutti e due e abbiamo respirato lungamente, lasciando che il sole scaldasse i nostri visi e ascoltando la musica che giungeva da lassù. [...] Stasera, ripensandoci, con il cuore e lo stomaco in subbuglio, mi dico che forse in fondo la vita è così: molta disperazione, ma anche qualche istante di bellezza dove il tempo non è più lo stesso. E’ come se le note musicali creassero una specie di parentesi temporale, una sospensione, un altrove in questo luogo, un sempre nel mai.

Sì, è proprio così, un sempre nel mai.

[...] La bellezza, qui, in questo mondo.

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