Ero seduta davanti al camino. Lui mi guardava ed io
avevo un disperato bisogno di una favola, una di quelle che riescono a
trascinarti altrove quando hai bisogno di volare. Per me lui era questo:
l’insostenibile che diventa leggero e si scopre sostenibile...
«Pavone Bianco, raccontami un’altra storia...»
L’uomo si eresse sulla torre, mostrando tutto il suo vigore. I muscoli
trionfavano, esondando dal suo corpo come un fiume in piena. Pulsavano dentro
il suo corpo le arterie. La rabbia sfociava da ogni poro mentre eretto, sulla torre,
da solo, urlava al vento con una voce che di umano non aveva più nulla.
Completamente nudo, fermo, immobile in una notte fredda, in quell’urlo
concentrava ciò che di più profondo e terribile era nel suo cuore. Cosa fosse,
era un sentimento che nessuno poteva conoscere e capire, se non lui.
Sentì la sua pelle incresparsi piano, i pori allargarsi e tanti piccoli
peli spuntare sul suo corpo. Egli sentiva la sua pelle dilatarsi, nonostante facesse
ogni sforzo per evitare quella trasformazione che odiava. Ogni centimetro del
suo corpo tirava. Sentiva le sue ossa curvarsi e dalla posizione eretta si
ritrovò a quattro zampe , con il muso verso terra ed un ringhio che comparve involontariamente,
lì dove un tempo c’era stato un sorriso. Odiava quei momenti in cui si
trasformava in qualcosa di diverso da quello che voleva essere, eppure lui
sapeva che quella era la sua vera natura e che quel processo era inarrestabile.
Riusciva a trovare un senso a tutto ciò, solo nella sua anima feroce e
solitaria.
L’ululato risuonò per la foresta. Era terribile, e al diffondersi di quel
suono che sapeva di sangue, tutti gli animali si ritiravano nelle proprie tane.
Sapevano che di lì a poco sarebbe iniziata la caccia. Non era un uomo. Non era
un lupo. Era quanto di più pauroso poteva aggirarsi per la foresta di Nowhere.
***
La donna sentì quell’ululato. Il cuore cominciò a batterle forte, con una
forza che quasi le squarciava il petto. Da quando aveva abbandonato la sua casa,
non aveva mai avuto paura di nulla, eppure il cuore le batteva forte. Non
riusciva a immaginare quale animale potesse racchiudere in sé tanta potenza e
tanto dolore. Voltò il suo sguardo intorno, vedendo svolazzare gli uccelli alla
ricerca di un riparo, osservando le volpi e le lepri che scappavano andando a
rinchiudersi nelle proprie tane. Gli occhi seguivano i movimenti frenetici
delle molteplici specie di animali che si aggiravano nella foresta,
terrorizzati, alla ricerca di un riparo. “Chi è costui?”, pensò, “Chi può racchiudere
in sé tali sentimenti da indurre gli animali di una foresta intera a
nascondersi, solo ascoltandone la voce?”.
Continuò a camminare lentamente, godendo del silenzio che si era creato,
dopo che tutti gli animali avevano trovato un riparo. Camminava a testa alta,
sapendo che di qualunque cosa si trattasse, lei oramai non aveva nulla da
perdere: aveva già rinunciato a tutto ciò che poteva esserle di più caro, in
nome di qualcosa che non sapeva cosa fosse. Aveva seguito un istinto, una
emozione apparsa all’improvviso, l’intuizione di un attimo. Una di quelle che
ti cambiano la vita. Aveva abbandonato tutto: la famiglia, le sue abitudini, le
sue misere passioni. Ed era andata via, alla ricerca di qualcosa che non riusciva
a definire, ma che le pervadeva le vene fino a farle scoppiare, che la
riempiva di un desiderio incontrollabile per qualcosa di davvero grande,
emozionante e potente. Ed era giunta lì, in un sentiero impervio di una foresta
sconosciuta, ora abbandonata dai suoi abitanti, in nome di un padrone che
dentro di sé sembrava avere solo rancore e rabbia verso il mondo. No, non aveva
niente da perdere lei. Si guardò
intorno, guardò il cielo ricolmo di stelle e sperò solo che un angelo distratto
stesse osservando la terra dal cielo e potesse proteggerla da un destino crudele.
Fu così, con gli occhi che passavano da uno sguardo verso il passato ad un
sogno verso il futuro, che arrivò sotto la torre sulla quale il lupo ululava.
I raggi della luna comparvero tra gli arbusti spinosi che ferivano la sua
pelle delicata. Gli occhi della donna si illuminarono di piccole scintille e
pian piano la sua pelle liscia si squarciò per lasciar posto ai mille colori
che di notte l’avvolgevano. Si era portata dietro la sua maledizione: un
piumaggio variopinto prese il posto di quei lembi sfrangiati di pelle. Le piume
del pavone avevano i colori che erano stati quelli di lei: il verde dei suoi
occhi melancolici, il blu della sua tristezza, il rosso vivo della sua passione
ed il giallo del suo sguardo felice di quando era bambina.
Su quello splendido esemplare di
pavone si concentrarono gli occhi grigi e cupi del lupo. Fermo e solitario, in
cima alla torre, la fiera scrutava quell’unico essere che sembrava avere
l’ardire di sfidare il suo rabbioso dolore.
«Cosa ci fai qui, pavoncella?
Non hai paura di me?»
L’ululato fece tremare le foglie
e i nodosi rami degli alberi di tutta la foresta, che incominciarono a muoversi
spinti dal vento, come avessero vita propria e volessero offrire un riparo ed
una difesa per lei.
«Non ho paura delle cose che non
conosco. Dimmi tu, quindi, perchè dovrei averne di te? Se penserò che sia un
buon motivo, allora ti temerò.»
«Potrei ucciderti. Sbranarti in
un solo boccone e fare di te cibo in un solo istante. Perchè non scappi?»
«Non mi hai fatto del male fino
ad ora. E non ho motivo di pensare che tu me ne faccia, almeno finchè te ne
stai lassù. Se avessi voluto farmi del male, saresti sceso di soppiatto, ti
saresti nascosto e mi avresti azzannato alle spalle. Non è forse così?»
«Tutti qui mi temono, cara
pavoncella. Io sono feroce, te l’ho detto.» disse digrignando i denti in modo
vistoso, quasi che bastasse quella vista a spaventare chiunque si fosse
avvicinato a lui.
«Sento il tuo ululato potente e
vigoroso, e mi fa vibrare le corde del cuore. In quell’ululato c’è più paura di
quanta ce ne sia in me in questo momento. Cos’è che ti turba, lupo?» rispose la
pavoncella, provocando la bestia sulla torre.
«Io paura? Sono un guerriero
nato, non c’è paura in me. Posso sconfiggere chiunque sia sulla mia strada.
Dovresti temermi, te l’ho detto.» rispose risentito il lupo.
«Non ti temo. E me ne starò
tranquilla qui per stanotte, perchè non so dove andare. Dovresti riposare anche
tu. Leggo la stanchezza nei tuoi occhi...».
La pavoncella si ritirò dentro
una siepe e incominciò a leccarsi il piumaggio piegando il collo come aveva
imparato a fare fin da piccola.
Racchiusa tra quei rami, ogni
tanto ritraeva il collo, sgonfiandolo e rigonfiandolo, beccava qualche verme e
poi tornava a leccarsi. Andò avanti per un po’, fino a che, non sentendo più
rumori dall’alto della torre, fu certa che il lupo non sarebbe sceso. E si
addormentò.
“E’ proprio un bell’esemplare”, pensò il lupo
guardandola da vicino.
Le si era accostato durante la notte,
quando non aveva più sentito gorgoglii strani da dentro la siepe dove l’aveva
vista nascondersi. Aveva prestato attenzione a non fare rumore sul selciato con
i suoi artigli affilati. Si era accucciato poco distante da lei, per la
curiosità di conoscere più da vicino quel coraggioso animale, per
ammirarla e, si stranì a pensarlo, anche un po’ per proteggerla durante
la notte: il branco non doveva essere lontano, e non ci avrebbe pensato su due
volte prima di sbranare quello che in apparenza doveva essere proprio un
delizioso bocconcino.
Pensò che era vero quello che
lei gli aveva detto, cioè che non aveva intenzione di farle del male: non
capita tutti i giorni di vedere qualcuno che ti affronta a testa alta, senza
paura, e ti dice esattamente quello che pensa di te, a costo della sua stessa
vita. Tanto coraggio poteva valere qualche giorno di attesa prima di sbranarla.
Era più uno stuzzichino da aperitivo, che un piatto sostanzioso. E in fondo,
non gli dispiaceva avere qualcuno con cui chiacchierare, in quella foresta dove
tutti si precipitavano vigliaccamente nelle loro tane, non appena apriva la
bocca per ululare com’era nella sua natura. Così passò la notte sdraiato quasi
accanto a lei. Seduto a terra a far da guardia a quello strano pavone, con le
orecchie dritte e la fronte alta, mentre lo sguardo scrutava lontano per
scorgere eventuali segnali di pericolo.
Se n’era andato via da quel branco,
ma la sua compagna era restata a guidarlo, con la rabbia di vederlo andar via,
senza speranza che potesse cambiare idea. Non era mai riuscito a gestire la
duplicità di uomo e lupo dentro di sé. Vivere da lupo con i lupi era per lui
qualcosa di naturale: aveva il segno del comando negli occhi, di coraggio ne
aveva da vendere e tutto il branco lo rispettava profondamente e non si era mai
ribellato a lui. Ma di giorno, quando l’uomo svestiva la pelliccia da lupo, egli
percepiva la tensione intorno a sé, ed era conscio di rischiare la pelle
intorno ai suoi simili. Un tempo era stato disposto a rimanere tra di loro, per
amore di lei. Ora non più. Era intimamente convinto di valere molto di più
degli altri, ma se solo uno di loro lo avesse attaccato quando il suo corpo era
quello di un uomo, comunque il suo destino sarebbe stato quello di soccombere.
Aveva iniziato a non fidarsi dei suoi simili e i lupi del branco lo avevano
intuito e lo avevano ripagato della stessa moneta. Non si erano mai ribellati a
lui solo per rispetto alla sua compagna, che aveva dimostrato in più occasioni
di avere coraggio da vendere e capacità di guidare il branco anche nelle
situazioni più difficili. Lei non ne aveva mai approfittato, ma il solo fatto
che potesse farlo, aveva sollevato il
suo orgoglio di uomo e maschio.
Il suo destino era di essere
lupo tra gli uomini e uomo tra i lupi. Così un giorno se n’era semplicemente
andato e si era isolato in quella torre, da solo, sfuggendo chiunque potesse ricordargli
che non apparteneva interamente né alla razza umana, né al branco dei lupi.
Chi fosse quella pavoncella non
riusciva a immaginarlo, ma si lasciava scivolare quella curiosità insoddisfatta,
mentre l’ammirava e la proteggeva da lontano, convinto che forse, se lei fosse
rimasta nei paraggi, prima o poi gli avrebbe confessato il suo segreto.
Lasciarla in vita lo faceva sentire magnanimo e lo riscattava dai rimorsi che
nascevano ogni tanto nella sua coscienza, quando ripensava alla sua vita nel
branco ed alla sua fuga.
Quando la luce del giorno
apparve all’orizzonte con i colori chiari dell’aurora, sotto quel cielo lilla
appena illuminato, l’ombra che i suoi occhi avevano tracciato durante la notte
cominciò ad assumere la forma conosciuta di lei ed i colori brillanti delle sue
piume. Non capiva cosa fosse quel sentimento incoerente che lo aveva spinto
inizialmente a tenersene distante e successivamente lo aveva convinto a
scendere giù dalla torre per assaporarne i contorni lungo una intera notte.
Si rizzò sulle zampe, si accostò
a lei, annusò il suo odore per poterla riconoscere, e si voltò incamminandosi
verso la torre, con il muso spinto a terra. Salì lentamente il selciato con la
compagnia del ticchettare dei suoi artigli sulle pietre fredde e puntute, e
quando arrivò sulla torre, si girò in direzione della luna e ululò dolcemente a
lei.
Ma lei non c’era già più.
***
Ogni giorno, settimana dopo
settimana, quella scena replicò. Sul far della sera il lupo ululava
terrorizzando la foresta, dall’alto della sua torre. E poco dopo le piume
colorate del pavone apparivano da un punto sempre diverso della foresta. La
pavoncella si appostava ai piedi della torre e guardava il lupo. Questi fingeva
di non averla vista, ma poi quando lei si riparava tra i rami e si
addormentava, lui scendeva giù e le stava accanto tutta la notte.
Non si erano più parlati dopo la
prima notte.
Tra loro comunicavano con gli
sguardi, con i gesti. Qualsiasi parola non sarebbe servita a comunicare di più
o meglio ciò che avevano da dirsi. Si scambiavano le proprie emozioni: l’uno il
suo profondo dolore di sentirsi diviso tra la sua natura di uomo e di lupo; lei
il suo disagio di vivere.
Dopo molti mesi, il lupo si
decise a parlarle.
«Perché continui a tornare ogni
sera?»
«Perché mi piace averti
intorno.»
«Non sono un animale che si ha
normalmente piacere ad avere intorno. Sono feroce. Sono crudele. Sono un essere
vorace, solitario. Le mie fauci incutono terrore, il mio ululato suscita
pensieri di morte. Molte favole parlano di me in modo spregevole. Sono il buio,
la profondità dell’inferno. Persino il demonio si è pregiato di essere
rappresentato con la mia effigie. Ma questo non ti ha mai turbata. Forse non
hai paura della morte? Forse non tieni alla tua stessa vita, tu che ogni giorno
da mesi ti ripresenti qui, sotto alla torre che ho eletto a mia dimora, a
sfidare ogni giorno le mie fauci?»
«Ricordi ciò che ti dissi il
primo giorno? “Non mi hai fatto del male fino ad ora. E non ho motivo di
pensare che tu me ne faccia, almeno finchè te ne stai lassù. Se avessi voluto
farmi del male, saresti sceso di soppiatto, ti saresti nascosto e mi avresti
azzannato alle spalle.”. Tu non mi hai ancora nemmeno sfiorato. Ogni giorno,
quando mi ripresento qui, tu mi vedi ancora prima che io compaia all’orizzonte.
Senti il mio odore che ti buca le narici, la saliva ti inonda la bocca, il tuo
stomaco si dilata al solo pensiero di un simile effimero boccone. Eppure sei
sempre rimasto lì, sulla torre, a combattere ciò che il tuo istinto animale ti
suggeriva di fare e la tua emozione di uomo voleva cacciare dalla mente. Ti
chiedo dunque ancora. Perchè dovrei avere paura di te? Forse perchè il tuo
istinto potrebbe un giorno avere la meglio su quella emozione?»
«Tu che ne sai? Quaggiù, sotto
questa torre, non ti è dato conoscere ciò che io faccio e penso lassù. E’ solo
un bluff il tuo.»
«Percepisco in te il mio stesso
istinto di sopravvivenza e riconosco in te le mie stesse emozioni. Al di là di
questi corpi che qualcuno ogni giorno si diverte a trasformare, sotto la tua
pelliccia e sotto le mie piume, abbiamo riconosciuto una stessa anima. E nel
profondo sappiamo di essere fragili fino al punto di poter essere soffiati via
da un colpo di vento. Eppure siamo forti abbastanza da sopportarne l’idea e non
ci lasciamo sopraffare. E ci rispettiamo l’un l’altro, riconoscendo il dolore
che sotto questa natura animale ognuno di noi nasconde. Ho girato a lungo per
terre che tu forse nemmeno conosci, cercando un destino diverso da quello che
altri avevano scelto per me, e non ho trovato mai nulla di così grande come
questa capacità di vedere oltre il corpo, nella mente e nel cuore. Ed in te ho
riconosciuto questa capacità, fin dal primo momento, fin da quella prima
esitazione del tuo istinto animale. Proprio perchè dici di venire dagli inferi,
so che puoi apprezzare il tepore della vita. Proprio perchè conosci il dolore,
sai illuminarti quando riconosci la gioia. Ma c’è una differenza tra me e te. E
non è nel corpo, come facilmente si potrebbe asserire. Né nella ferocia del tuo
essere, rispetto alla apparente docilità del mio. La vera differenza è che tu
ti sei arreso alla tua solitudine e vivi sulla tua torre, al riparo dalle tue
stesse emozioni, limitando ciò che dal mondo puoi avere. Ti ritieni
superbamente al di sopra di ogni specie: quella umana, perchè sei anche lupo;
quella di lupo, perchè sei anche uomo. Ma ciò di cui non ti rendi conto è che
la tua superbia, portandoti lontano dal mondo, in fondo ti giustifica e ti
esonera dal vivere e dal provare emozioni ancora più grandi. Sei talmente
convinto di essere superiore al mondo, che ti senti esonerato dall’affrontarlo
ogni giorno sulla tua pelle. Forse sei stanco di lottare? Eppure lottare è
amare la vita, sfidarla e tuffarsi in essa pur sapendo che alla fine di quel
volo puoi schiantarti al suolo. Ti rifiuti di volare, ti rifiuti di rischiare
la tua pelle. Neghi a te stesso la verità, per paura che possa essere dolorosa
ancora una volta. I lupi non sono solitari. Vivono in branco. E i capi del
branco, come lo eri tu, non temono di essere sfidati, e si battono ogni volta
con vigore per dimostrare la loro superiorità. Tu sei fuggito da loro, ti sei
rinchiuso in una foresta dove tutti ti temono senza mettere in discussione la
tua autorità. La posta in gioco restando dove eri era troppo alta: avevi paura
che l’uomo non fosse all’altezza del lupo, e per proteggerlo, hai rinunciato a
provare. Io non ho avuto paura di te. Ho percepito fin dall’inizio che il
rischio che tu mi sbranassi ponendo fine
alla mia vita era di gran lunga inferiore alla gioia che potevo provare
incontrando i tuoi occhi. Non sono qui per salvarti. A dispetto delle nostre
immagini di preda e predatore, io sono restata per amarti.»
«Quali idiozie vai dicendo? Io
non ho paura di nulla. Non sono fuggito per paura di affrontare il mio branco.
E soprattutto quale grande bestemmia quella di un pavone che ama un lupo? La
tua mente è offuscata. Torna da dove vieni. Io non voglio avere nulla a che
fare con te. Non ti ho mai chiesto di restare, né di andare. Sei libera. Se
vuoi stare, lo fai a tuo rischio e pericolo. Prima o poi mi stancherò di averti
sotto i denti e non poterti sbranare.»
Si voltò, digrignando i denti e
tirando ancora più su le orecchie. Affilò gli artigli contro una pietra
acuminata e poi cacciò un profondo ululato dalla gola, che rimandava ad urla di
un dannato nell’inferno.
Il pavone restò sotto la torre
fino a che non vide il lupo aggirarsi in tondo sulla sua sommità. Dopo di che,
andò via.
Per lunghi mesi il lupo ogni
sera, al tramonto, dilatava le sue narici per riconoscere l’odore familiare del
pavone. I suoi occhi lacrimavano per lo sforzo di tenere acuta la sua vista nel
buio, per scorgere i colori delle sue penne. Ogni sera, affilava i suoi artigli
camminando in cima alla torre, poi di notte scendeva a perlustrare la foresta,
nel caso in cui il pavone fosse arrivato in un momento in cui lui era
distratto. I colori dell’aurora sorprendevano il suo incedere lento e deluso su
per il sentiero che riconduceva alla torre.
Una sera, al tramonto, mentre il
lupo era intento a sbranare una piccola preda catturata più per rabbia che per
fame, le sue narici dilatate percepirono un odore diverso e familiare. Lasciò
la carcassa a marcire nel fango e si girò a cercare con gli occhi ciò che in sé
aveva già riconosciuto. La sua rabbia si raddolcì e si pulì il muso contro le
foglie, perchè si vergognava di farsi vedere sporco del sangue di quella misera
preda.
«Sei tornata, vedo. Ora mi
spiegherai perchè sei andata via.»
«Credevo fosse chiaro ciò che io
mi aspettavo da te.»
«E perchè sei tornata, allora?»
«Perchè avevo voglia di rivedere
il tuo sguardo. Avevo voglia di riprovare ciò che mi avevi fatto provare un
tempo. Un momento di nostalgia. Ma non ti preoccupare: andrò via di nuovo, e
stavolta per sempre. Mi dovrai sopportare solo per stanotte.»
«Per me è indifferente se resti
o vai. Fai quello che vuoi.»
«Abbiamo entrambi una duplice
natura e questo ci ha uniti oltre ciò che pensavamo. Tu: l’uomo ed il lupo. Io:
la donna e il pavone. Tanto distanti sono il lupo ed il pavone, quanto vicini
sono l’uomo e la donna. Ma tu hai nascosto l’uomo e mi hai scatenato contro il
lupo. Io non ne ho avuto paura e sono tornata, per capire se e quanto ti fossi mancata.
Volevo dare a me stessa un’altra
possibilità, perchè so che quello che perdo senza te è molto. Eppure se tu mi
resti così distante, non sapremo mai ciò che perderemo restando insieme. Le
nostre anime si sono solo sfiorate ed ho ragione di credere, per quello che io
ho provato, quando ti ero affianco e quando ero lontana da te, che, se solo si
toccassero un po’ più profondamente, potrebbero incendiarsi di emozioni uniche
e insostituibili. Se anche tu avessi intravisto in me una possibilità, sei comunque
lontano dal volerla esplorare. Se tu hai voglia di rimanere nella tua
solitudine, io da sola posso davvero poco. Ed io? Io non voglio rinunciare a
quella emozione. Ho lasciato ciò che di più caro avevo al mondo per cercarla.
Perciò non posso che arrendermi alla tua solitudine. E dunque me ne andrò,
domattina. Da qualunque parte, ove tu non sarai o non vorrai essere.»
«Libera di farlo. Ma non
offendermi. Ricordo ancora le tue parole. Forse mi sento superiore al resto del
mondo. Forse non ho voglia di mescolarmi alla stupidità degli uomini e dei
lupi. Sono fiero, sì. Fiero della mia condizione e sono qui solo per
proteggerla da chi, non comprendendola, potrebbe ferirla. Cosa ti aspettavi?
Che ti amassi? A che pro? Non provo nulla per te se non un sincero moto
d’affetto, ma nulla più. E non è che mi manchi il coraggio di vivere delle mie
emozioni e cercarne ancora di più grandi. Solo che per te, io, non provo
questo. Mi stai simpatica. E’ perfino delizioso ascoltarti, quando non ti
arrabbi e quando non fai la maestrina. Ma l’amore è un’altra cosa, ed io l’ho
provato. Non è questione di arrendersi. E’ questione solo di decidere per quali
battaglie vale la pena di combattere. Ed in questo momento, tu non sei una di
quelle. Tutto qui. Il resto non ha per me nessun valore o significato. Dormi
pure. Ti farò da guardia solo perchè provo affetto per te. Ma domattina parti
prima che sorga il sole, perchè lascerò il mio istinto fiutare le prede e il
tuo odore non lo riconoscerò già più tra gli altri.»
Le piume si spensero dei colori
vivaci ed un’ombra calò su quegli occhi verdi. Il pavone si rintanò su un
albero e da lì guardò il lupo andare via verso la torre. Sentiva i rumori della
foresta: le fronde che il vento muoveva forte, la pioggia che iniziava ad
ammorbidire la terra, i corvi che volavano in cima alla torre in tondo, come
rincorrendosi in un macabro gioco. Il cuore palpitava nel piccolo petto, per una
sconfitta nella quale fino in fondo non si rassegnava credere. Non era valso
sperare che ci fosse un’altra possibilità. Dove aveva sperato di trovare una
breccia, aveva trovato una voragine ed ora si sentiva precipitare giù. Rimase
immobile fino a quando non sentì il calore del fiato dietro di sé. Il cuore
ricominciò a battere forte, stavolta con terrore, perchè non sapeva se l’essere
che stazionava dietro di sé fosse il lupo amico o un altro animale in cerca di
prede da divorare. Rimase immobile, mentre sentì l’umido muso del lupo che le
sfiorava le piume e la sua lingua che le lisciava, convinto che lei stesse
dormendo, con la delicatezza di chi non vuole disturbare il riposo di chi ama.
All’improvviso quella tenerezza cessò ed il passo felpato delle zampe del lupo
le sussurrarono che lui stava andando via. Non riusciva a sopportare la
solitudine, dopo quella tenerezza infinita che lui era riuscito a farle provare,
così uscì fuori dal riparo tra le fronde bagnate di pioggia e volò fin su in
cima alla torre, parandosi di fronte al lupo, che la guardò con occhi rossi di
rabbia, per aver invaso il suo territorio.
«Come hai fatto ad arrivare
qui?»
«Ho volato.»
«Mi prendi per stupido? I pavoni
non volano. E comunque cosa ci fai ancora qui? Ti avevo detto di andartene.»
«Ho avuto solo un dubbio. Volevo
sapere perchè sei sceso giù questa notte per accarezzarmi.»
«Non è importante.»
«Per me lo è.»
Il lupo ululò alla luna e non
rispose.
Il pavone restò a guardarlo per
un po’, aspettando una risposta.
Poi all’improvviso, disse al
lupo:
«I pavoni sanno volare, anche se
la gente non lo sa. Me ne vado: io non posso trascinarti su con me in volo, se
tu non vuoi. Perciò, se non hai altro da dire... io andrò.»
Il Pavone Bianco si fermò. Guardò il fuoco.
E disse: «A volte si può scegliere, se combattere per qualcosa che è soltanto una piccola scintilla, per renderla un grande fuoco, o spegnerla soffocandola con la propria delusione. Non si può sapere in anticipo cosa ciascuno sceglierà e quali saranno le conseguenze. Quando si è di fronte ad una scelta, non si hanno mai tutti gli elementi a propria disposizione. C'è solo l'istinto per scegliere. E da esso dipenderà la propria felicità. »
Epilogo 1
«Siediti. E ascoltami.» le disse il lupo. «Forse io
sono quello che tu dici. O forse no. Io non l'ho ancora scoperto. Da quando
ho scelto di allontanarmi dal branco, io sto cercando quel qualcosa di grande
che tu stessa stai cercando. Non so se e quando e dove mi sarà concesso
trovarlo. Ma tu, se vuoi, puoi restarmi affianco ed aspettare con me. Io non ti manderò mai via.»
Quello che il pavone lesse negli occhi del lupo fu qualcosa di indefinito, ma non ne ebbe paura. Fu come se all’improvviso riuscisse a sentire le loro anime unite in un indissolubile cuore. Il lupo doveva avere spalancato quella porta attraverso la quale aveva intravisto l’uomo che racchiudeva nel petto.
Così si sedette affianco a lui ed
aspettò.
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Epilogo
2
Il lupo la
guardò e le disse: «Non ho nulla da dire.»
Quello che
il pavone lesse negli occhi del lupo fu qualcosa di indefinito e ne ebbe
paura. Fu come se all’improvviso non riuscisse più a sentire la sua anima. Il
lupo doveva avere chiuso quella porta aperta che le aveva fatto intravvedere
l’uomo che racchiudeva nel petto.
Così si girò, se ne andò e non tornò più. |
E continuò...
La leggenda racconta che da quella notte, quando piove, piccole gocce di pioggia si fermano nell’aria, raccogliendo in sé, come tanti piccoli arcobaleni, tutti i colori del mondo, dando vita ad una immagine che da nessun’altra parte e in nessun altro momento si può vedere: il volto di un lupo, illuminato dei colori di un pavone.
E in quelle notti, i lupi ululano per amore.
Rave Wolf by vampiremackenzie
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