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24 nov 2012

Ritratto di donna


Il momento perfetto. Quello in cui la notte riempie di silenzio le case e spegne le calde luci dei camini. I figli riposano nei loro letti ed il respiro pesante rimanda ad un mondo di sogni nel quale stanno correndo felici. Siedo ad un tavolo, di fronte all’ultimo bicchiere di Baileys, una sigaretta che fuma veleno. Nel buio si accende l’immagine di un uomo e di una donna, seduti su una panchina in un antico chiostro, che chiacchierano amabilmente e sorridono. Ancora una volta. Non me lo aspetti, ma all’improvviso quel breve istante di vita che volevo ignorare mi sfiora la mente e l’idea si sviluppa intorno a quel fotogramma di esistenza, che nelle mani in volo su una tastiera, diventa un racconto. Adoro scrivere...

Avresti detto che Ethan fosse un gentiluomo d'altri tempi anche se fosse stato fermo sul marciapiede, vestito di stracci.

Lo intuivi dai lineamenti regolari e gentili del suo viso, dal modo in cui sfiorava delicatamente con lo sguardo il mondo intorno a lui, quasi avesse paura di sciuparlo con gli occhi. Lo percepivi dal sorriso appena accennato, dalla risata mai sguaiata, dal modo controllato che aveva di gesticolare quando parlava, dall'eleganza con cui, quando sedeva, portava una gamba sull'altra. Ti rassicurava la piega perfetta dei pantaloni, la nitidezza delle scarpe, la camicia bianca senza pieghe. I tuoi sospetti si scioglievano per quel gesto incurante con il quale si liberava la fronte dai capelli con le sue dita lunghe ed affusolate, dalle unghie bianche e perfettamente curate.

Erano soprattutto le sue parole che te lo confermavano. Il linguaggio forbito che usava, il filo lineare dei suoi pensieri, mai uno fuori posto, ciascuno propriamente espresso con parole scelte, naturalmente assortite e inusuali, quasi provenissero da libri antichi, con le pagine ingiallite dal tempo, i bordi smangiati, che profumano di eterna bellezza.


Aveva quarant'anni e viveva nel sud della Gran Bretagna, nel Kent, precisamente. Si aggirava nella vita con il suo stile unico che affascinava chi aveva l'occasione di conoscerlo. La sua famiglia era stata molto più ricca un tempo, ma aveva sbagliato qualche investimento e le fortune si erano ridotte. Non abbastanza da farli cadere in miseria, ma sufficienti a garantire a Ethan di vivere in una tenuta circondata da molti ettari di terreno, e stalle con cavalli di razza. Era un amministratore competente e saggio. Nessuno gli aveva mai contestato ciò che faceva, perchè le sue decisioni erano sempre ben arroccate su motivazioni solide e ragionamenti impeccabili. Gli uomini lo stimavano per questo. Le donne lo circondavano perchè oltre ad essere ricco ed elegante, era anche maledettamente bello.

Era stato sposato un tempo. Era convolato a nozze con una lontana cugina. Non erano innamorati: semplicemente i loro genitori avevano combinato il loro matrimonio ed entrambi erano troppo riconoscenti per poterli contraddire. Non era durato a lungo. Una terribile malattia si era portata via Cécile e Ethan aveva così potuto godere delle fortune di entrambe le famiglie, senza dover sopportare di vivere con una donna, che non avrebbe mai imparato ad amare.

Era spesso in giro per affari. Viaggiava molto per tutta l’Inghilterra e questo gli concedeva un po’ di respiro, esonerandolo dalla partecipazione alle feste alle quali era inevitabilmente invitato. Era fondamentalmente schivo. Non amava trascorrere il tempo in salotti illuminati da luci di cristallo, nei quali risuonavano risate di gente il cui sorriso era solo un terribile vizio di forma. Ogni tanto vi era costretto e la sua pena era enorme. In quei casi, si aggirava sperduto tra i saloni, scappando dalle signore che bramavano la sua presenza e dai gentiluomini che gli chiedevano sempre consigli su chi puntare alle prossime corse dei cavalli.
Quando poteva, giocava a polo. Anche questo era nel suo stile. Impettito sul suo cavallo nero come la pece, stretto in una divisa da fantino impeccabile, adorava correre sui prati verdi inglesi, soprattutto quando la pioggia li aveva coperti di minuscole gocce ed il suo profumo acre e pungente si spandeva nell’aria e penetrava le narici.

Ethan era così, di giorno. Tranquillo. Perfino scontato nei pensieri e nei modi. Sempre perfetto. Un mare al quale mancavano perfino le piccole increspature d’onda che la brezza trascina sempre dietro di sé.

In realtà Ethan si sentiva perfetto al pari di un’anima dannata. Quando la notte era così buia che nemmeno le stelle riuscivano a brillare, gli capitava di svegliarsi in preda ad un incubo.

Era una donna. Sempre la stessa, che lo ossessionava. Il suo viso  gli appariva d’improvviso e lo svegliava. E in quel mare perfetto della sua vita, onde gigantesche si profilavano all’orizzonte, sollevate da potenti soffi di vento, per poi schiantarsi e sommergerlo nella loro schiuma. Quegli occhi di un giallo intenso come il sole, bordati del verde del mare, lo guardavano nel buio e la bocca rossa e carnosa si stagliava nella notte, suscitando in lui il desiderio di baciarla e possederla.

Allora si alzava e si rinchiudeva nel suo studio. Era capace di restare per ore immobile, devastato, davanti a una tela grezza, alla ricerca di quel particolare che non aveva mai trovato e che gli impediva di regalare un’anima a quel viso. Gli era capitato spesso, in passato, di dipingere visi di sconosciuti che aveva incrociato di giorno, anche solo per un attimo: di solito non smetteva di lavorare finchè non riusciva a riportare le loro anime sulla tela, ed era sempre stato facile per lui, quasi un gioco.

Con lei questo non capitava. Sapeva che il segreto era nei suoi occhi, ma non riusciva a catturarlo. Ogni volta gli sembrava di essere vicino, ma quando credeva di averlo incastrato davanti a lui, quando era certo di averlo inchiodato lì sulla tela, e si allontanava per guardarla da lontano, solo allora si rendeva conto di aver solo mescolato del fango e pasticciato con i colori. E la squartava, con tagli netti di rabbia. Per poi rifugiarsi nella bottiglia di whisky fino a svenire.

Ogni notte era così. Quella strana sensazione di essere guardato mentre dormiva. Quella presenza che gli respirava fiato nelle orecchie. Quelle labbra rosse e carnose che sembravano essere vicinissime alle sue, ma mai lo sfioravano. E quando apriva gli occhi, quei fanali luminosi apparivano piano nel buio, come una lampadina che si accende piano, con luce soffusa e poi arriva ad accecarti al punto che devi distogliere lo sguardo. Era così quel viso. Incorniciato da lunghi capelli neri. Gli occhi contornati da folte sopracciglia e dipinti dalle lunghe ciglia. Due iridi contornati di verde e, al centro, un carico di tristezza che lo inquietava. Silenziosa rimaneva lì di fronte a lui, con le labbra che tremavano, ma non accennavano mai a parlare. Perchè comunque le sue parole non passavano dalla gola, ma attraverso il suo sguardo.

Se solo gli avesse dato un indizio, lui l’avrebbe cercata. Se solo gli avesse parlato e gli avesse detto cosa voleva da lui, lui l’avrebbe accontentata. Rimaneva immobile, e lui come una statua davanti a lei. Fino a che la luce non le rubava i colori e lei diventava qualcosa di evanescente, che per un po’ rimaneva nell’aria come se fosse un profumo, ma un profumo non era.

La mattina, gli occhi impastati di sonno e il cuore che rintoccava rabbia in ciascun battito, indossava ancora con i vestiti la sua impassibilità e ritornava al mondo, ogni volta più sconfitto di prima. E questo la gente non lo capiva. Dicevano che era solo un gentiluomo. Se avessero saputo che i suoi modi derivavano dalla stanchezza di quelle notti e dal riposo dalla sua rabbia, nessuno lo avrebbe più né cercato né rimpianto. Ne avrebbero solo avuto pietà e compassione.

Una notte, una notte sola fu diverso.

Quando Ethan aprì gli occhi, lei non c’era. Non c’erano i suoi occhi, né le sue labbra palpitanti, né la sua tristezza. C’erano solo il vuoto ed il silenzio. Anche nel cuore di Ethan taceva la rabbia, soffocata dalla paura, quando cominciò a chiedersi dove fosse lei. Strappò le lenzuola che lo avvolgevano e si aggirò al buio in casa, muovendosi seguendo solo i raggi di luna che trapassavano il legno delle persiane, disegnando in terra il sentiero del suo cammino. Stanza dopo stanza cercava la sua presenza, finchè non capì che l’unico posto dove poteva essere era lì, nel suo studio, e corse ad aprire la porta. La trovò in piedi, vicino alla finestra, con gli stessi occhi stanchi ed il sorriso smorzato dalla malinconia. Le disse solo «Resta lì.» e lei non si mosse, per tutta la notte.

Lui non la guardava, ma spruzzava i colori sulla tela. Era la sua presenza di fronte a lui che lo ispirava. Non aveva bisogno di fissare il suo sguardo su di lei per ricordarne i lineamenti. Erano scolpiti nella sua mente come la sua stessa vita. Quello che era differente rispetto a tutte le altre volte consisteva nel fatto che adesso lei era lì. E non era questione di averla a portata di mano, perchè sapeva che se avesse provato a sfiorarla, lei si sarebbe dissolta. Non si può toccare un desiderio. E il fatto che lei fosse lì, voleva dire che era disposta a concedere a lui quello che gli era mancato tutte le altre volte: lui poteva prendere ciò che c’era dietro quegli occhi e quello sguardo. E non intendeva perderlo. Ad ogni costo. Pur sapendo che quel momento non ci sarebbe più stato in seguito. Pur nella coscienza che, dopo di allora, lei sarebbe andata via. Per sempre.

Mischiava i colori con la sapienza di chi li ha creati, e ne conosce le sfumature e li tratteggia, li affina, li ripassa, uno sull’altro, fino a intingere in essi ogni goccia di sentimento che aveva dentro, fino a renderli specchio di quel mistero di fronte al quale si trovava.

Era come se qualcosa fluisse da lei, entrando in lui per possederlo e stravolgerlo, come melma nera, attraverso i suoi occhi, prendendo poi colore sulla tela attraverso le sue mani. In quel mentre, sentiva le tempie pulsare, il volto contorcersi dal dolore ed una sensazione di angoscia che lo devastava.

Quando ebbe finito, e si allontanò dalla tela con l’incertezza di aver fallito ancora una volta, i suoi occhi si illuminarono, e continuarono a viaggiare a lungo tra la tela e lei, sempre ferma vicino alla finestra. Era riuscito a strapparle quell’emozione che le trafiggeva lo sguardo. E lei finalmente sorrideva.

Il maggiordomo lo trovò morto la mattina dopo, quando varcò la soglia dello studio per aprire le finestre e fare entrare l'aria fresca in quella stanza che, di solito, odorava della disperazione di notti infruttuose. Quella mattina, quella stanza odorava di morte.

Ethan era riverso di fronte ad un ritratto. Il ritratto di una misteriosa donna. 
Bellissima e terribilmente viva.

Lui aveva uno strano sorriso sul volto, raccontò il maggiordomo. Il sorriso di uomo che ha appena incastrato l'ultimo pezzo nel puzzle della vita di un altro. 

Proprio così disse.

E forse, era stato proprio così.

Vincenzo di Giorgio
Ritratto di Donna 2
Figurativo - Olio su tela 50 x 70

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