17
settembre
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C’è
un punto che sogno di baciare: la conca sulla spalla, vicino al collo. Voglio
sentirne il calore, la pelle morbida come velluto e l’arteria pulsante – la
pulsazione silenziosa e incessante della vita che palpita in te. Vieni,
accucciati sotto la mia ala, non dire
nulla ma ammetti in cuor tuo che è possibile immaginare il matrimonio anche
così: due individui che si osservano, uno di fronte all’altro, in un rito
prolungato, lentissimo – il rito dell’esecuzione di una persona amata.
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17
settembre
Chi
può resistere alla tentazione di sbirciare nell’inferno di un altro?
3 ottobre e giorni seguenti
Di
volta in volta ti crei in me. Non siamo vivi, ricordi? Ma è vivo tutto ciò che
hai scritto. La tua vita è la mia. Il tuo viso. Lo disegno nella mente, ne
ripasso ogni linea. Ti vesto, ti spoglio, adagio, un capo dopo l’altro. Parlo a
me stesso con il tuo timbro, la tua voce scritta, e una punta di tristezza nel
fondo.
Non
smettere. Non smettere di essere.
Scrivo
te da quel punto della mente. Mi concentro con tutte le mie forze su quel punto
e tu sgorghi da lì. Come se ci fossero parole riservate a una sola donna e non
ad altre.
Meditavo
che in qualche punto dell’universo deve pure trovarsi quel mondo di cui abbiamo
parlato una volta. Un mondo dorato di luce, un mondo giusto, in cui ogni essere
umano possa trovare la persona che gli è destinata. In cui ogni amore è amore
vero e, come premio, si può anche vivere per l’eternità.
Senti,
forse ti cerco già da anni, ti cerco disordinatamente, a casaccio, e continuo a
brancolare. Capisco che ti sto cercando da molto tempo come uno che cerca una
finestra in una stanza piena di fumo. Forse le cose non stanno come credevo: ho
sempre pensato che la casualità fosse il mio peccato, originale, il più
frequente e consueto per me. Negli ultimi giorni, però, comincio a capire forse
è il contrario, che la casualità non è il mio peccato, bensì il mio castigo.
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Vorrei
potessi sentire quanto ti sono vicino ora, anima e corpo, più che mai. E’ come
se un motore si stesse riaccendendo dentro di me. Voglio risvegliarmi alla vita
e donarti, a parole, tutto il mio patrimonio genetico, quello che sono, nel
bene e nel male. Ora desidero che anche la mia stupidità ti penetri, il mio
entusiasmo, la mia paura, la mia infedeltà, la mia grettezza. Ma anche due o
tre cose buone che forse sono dentro di me, e che si mescoleranno con le tue.
Voglio che le nostre paure, i trabocchetti che abbiamo teso a noi stessi, si
accoppino.
Ora
sii per me il coltello. Chiedimi come mai ogni volta che mi mostri una ferita, devo fare uno sforzo
meschino per non fuggire. Ti percepisco con una forza nuova che mi palpita in
tre punti diversi del corpo: nelle profondità del cervello, a sinistra; nella
sfera di fuoco sotto il cuore; e alla radice del pene. Traccia tra loro una
linea e otterrai un’immagine precisa di me in questo momento.
C’è
un punto in cui io e te cominciamo a parlare lingue diverse. E poi, cosa ne
capisci tu, di questa meraviglia, un perfetto sconosciuto, all’improvviso si
trasforma nel fulcro vivo di tutti i sentimenti, di tutti i pensieri e tutte le
fantasie? Cosa ne sai di esaltazione, come puoi capire una scintilla come
questa, tra due estranei, assolutamente estranei che conoscono gli articoli
della costituzione e non hanno dubbi che dopo, passata la tempesta, torneranno
ad essere soli? Soli.
Tu
carpisci in me una scintilla per accenderti alla vita, e questa è veramente la
tua battaglia tra la vita e la morte.
E’
meglio fermarsi prima che sia davvero troppo tardi, Myriam?
13 ottobre
Qui
terminano le trasmissioni e la nostra breve illusione. Finisce tutto. Myriam,
questa è la mia ultima lettera. Non ti scriverò più, probabilmente. Vedi, non
siamo nemmeno arrivati alla ghigliottina. Ce la siamo cavata da soli. Se io non
fossi un tale idiota, avrei potuto essere felice con te, non importa come, il
mondo ce lo avrebbe permesso.
Voglio
esprimere un desiderio: vorrei che il tempo si fermasse e che quest’estate
continuasse per sempre. Vorrei fuggire da me stesso, dalla mia morsa maledetta,
per ritrovarmi improvvisamente altrove, davanti a te, perché no?, ma nuovo,
libero, nudo. Anche solo per un giorno, per un’unica lettera, per un istante di
libertà totale. Perché no, davvero? Cosa valgo, altrimenti?
Basta
Myriam. Rinuncia a me. Era tutta fantasia. Se solo ci fosse qualche altra
soluzione, qualche altro modo di vivere nel mondo! Quasi tutto quel che facevo
o dicevo, cercavo innanzi tutto di vederlo con i tuoi occhi, di pensarlo con la
tua mente, di sentirlo con la tua bocca affamata. Se qualcuno mi irritava sul
lavoro o per strada, pensavo a te, ripetevo il tuo nome e mi calmavo. Ma non ho
mai incontrato una persona alla quale abbia desiderato di affidare la mia
anima. Ci sono dei geni a cui vengono date le tessere di un pappagallo e loro
ne ricavano un pesce. Io ti ho consegnato un parassita e tu hai ricomposto un
uomo. Usando gli stessi pezzi ma migliorandone il risultato.
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Questo
ho imparato da te: vivo soprattutto in quello che non ho.
Non
hai idea di quanto odio i libri in questo momento. Com’è che nessuno di loro,
fra le migliaia che mi circondano, può aiutarmi? E che nessuno di loro racconti
la nostra storia?
E
che nessuno di loro mi abbia dato quello che mi hanno dato le tue lettere?
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