L’ora io ce l’ho in cielo. Per
me, Cormorano, la vita è un giorno, uno solo, dall’alba al tramonto, e amen. Oggi mi prendo la libera, la
mia giornata da uccello. Guardo solo il cielo. Certo, capace ci capita pure
qualche antenna, satellitari, parabole, telefonia, pazienza. Il cielo di città
mi piace perché puzza di basso, di uomini. Il cielo di campagna, invece mi fa
paura. C’è solo roba del Signore, lassù: stelle, stelloni, nuvole al galoppo. E poi che mi mettevo a fare in campagna? A
litigare con gli alberi? Quelli sono tranquilli, beati, ti fanno sentire uno
sputo.
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Mamma era la persona più
coraggiosa che ho conosciuto. Quel tipo di coraggio che è solo delle donne, gli
uomini non ce lo possono avere un coraggio così... così zitto. C’aveva sempre
il raschio in gola, per tutti i rospi che s’era tirata giù senza fare una
piega. Davanti a noi maschi di casa sembrava che c’avesse paura, ma non era
vero, lo faceva per farci sentire più forti. Mi ha fregato. Sono uscito di casa
che mi sentivo un leone, dopo ho faticato a capire che ero un coglione.
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Il problema certe volte è la
parola. Arrivo a sera che capace non ho aperto bocca, ho parlato tutto il
giorno con me stesso ma non ho aperto bocca. Allora mi sono inventato ‘sto
modo, mi racconto le cose, mi dico quello che faccio, mi do i consigli, le
sgridate. E ho visto che è meglio, il suono è meglio. Perché la voce interna è
pericolosa, non te ne accorgi e cali, cali, vai sempre più giù, in grotta,
rimescoli il passato, e ti dai ragione, troppa, e troppi torti agli altri. E la
voce, dentro, comincia a farsi grossa, la testa comincia a rimbombarti come un
locomotore, senti l’eco delle tue parole, un fischio lungo che rimane.
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Voi
non ci crederete, ma io, qui, non sempre ma certe volte, dal nero, mi son visto
davanti la gioia. Allora mi dico: vedi, Zorro, ognuno ha la sua favola, e
questa è la tua, solo tua. Loro non lo sanno, non lo immaginano a vederti
ridotto così, e questo è il bello. Perché il sogno è bello in solitudine,
stretto nelle mani nude, magari sporche, magari dure, che quando le strofino
fanno un rumore di cartone. Restate lì dove siete, Cormorani, nelle vostre
ludoteche, paninoteche, enoteche, emeroteche... Nelle vostre teche.
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La dignità non è una tessera
che te la dà la società civile, e se non ci stai dentro alla società civile perdi
la tessera, te la ritirano come il bancomat. No, la dignità è un seme che t’ha
messo dentro il Creatore. Una cosa che è solo tua come il seme nei coglioni.
The Power of Words -
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Dici che non sono normale?
Calma, Cormorano, qui c’è da fare un discorso lungo. Io non lo faccio. Dico
solo che normale è una parola storta. Parliamo di frequenza e infrequenza, così
mi sta meglio. Diciamo che è infrequente che la gente attraversi a cazzo come
me. Io sono un infrequente. Infrequente è bello, è una rarità. E’ come un fico
a dicembre. Io sono un fico a dicembre, una ciliegia a gennaio, una pesca a
febbraio...
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Quando è stato che il piano di
cristallo si è inclinato? Era lì davanti ai miei occhi, tutti ci stavano sopra,
regolari... S’è inclinato in un verso. Non me ne sono accorto subito, ho visto
tutti che scivolavano sul vetro. S’è svuotato, è rimasto di traverso. La vedo, ‘sta
linea obliqua davanti a me, sembra che deve cadere da un momento all’altro, ma
non lo fa, rimane...
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Ora che è inverno, invece, mi
sono preso la suite, l’abbonamento al regionale. Prendo l’ultimo treno della
sera, mi metto lì buono con i pendolari, ascolto le chiacchiere, guardo le
facce, mi immagino che roba li aspetta a casa, nel piatto, nel letto. Si
pensano che anch’io sono uno che torna dal lavoro.
“Dov’è che scendi te, Zorro?”
“Poi, scendo poi.”Finché ci resto solo, sul vagone, a sentire gli scambi sotto le ossa. Resto fino a che il treno si ferma, e allora è come se si ferma il cuore. Senti i grilli, e qualche cane. E lì accanto, sul sedile vuoto, vedo qualcosa, un pesciolino, una speranza. E ti capita di credere che stai andando chissà dove, che la tua vita galoppa ancora. (Fa un fischio lungo come quello di un treno).
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Certe volte si dice che il
mondo casca addosso. Si dice tanto per dire. Invece è verò. Sento un botto
dentro, nel petto, poi a salice piangente nelle gambe e nelle braccia, un colpo
e un vuoto, un colpo e un vuoto, e appresso viene giù di tutto, la libreria, il
calendario, le cazzate, tutto...
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